martedì 6 dicembre 2011

INTERMEZZO CON INCIPIT E DUE POESIE

Questo è l'incipit del mio nuovo romanzo, il mio secondogenito, nato a Roma il 2 dicembre scorso. Così inizia "Francoforte sul Meno andata e ritorno".

Sapeva di sognare. Tentava di svegliarsi senza mai riuscirci. Quel sogno era il suo tormento sin da quando era giovane: c'era qualcuno che lo inseguiva, lo sentiva ansimare sempre più da presso, ma non riusciva a vederlo. Le gambe gli diventavano pesanti e poteva muoverle molto lentamente, come se fossero impantanate nella mota.
Ogni volta gli sembrava di ripetere la stessa scena al rallentatore: sentiva l'inseguitore ormai vicinissimo, ma per quanti sforzi disperati facesse non riusciva a muovere le gambe velocemente. Alla fine crollava esausto a terra e la bocca gli si riempiva di terriccio e di qualcosa d'altro che cercava di strappare subito fuori, senza riuscirci: erano capelli, oppure erba o crini di cavallo. Più ne tirava fuori più la bocca ne era di nuovo piena. Dovevano essere proprio crini di cavallo, perché da piccolo lo facevano sempre dormire sopra un materasso di crini di cavallo per via della sua schiena, che era allora un po' debole, e ogni tanto se ne trovava un paio in bocca, duri come quelli del suo sogno.
Tentava di svegliarsi, ma nella bocca sentiva quella terra e quei crini moltiplicarsi. Cercava di aprire gli occhi, di tirar fuori le gambe dal letto, di buttare via le coperte, ma l'inseguitore era ormai su di lui. Oltre a quello dei suoi passi sentiva adesso anche un altro rumore, monotono, continuo, sempre più distinto.
Aprì gli occhi di colpo, zuppo di sudore. Un attimo dopo riprese coscienza della realtà: il rumore monotono del treno, che lo aveva aiutato ad addormentarsi, gli aveva anche permesso di uscir fuori dal suo incubo.


Adesso due poesie: l'ultima prima che nascesse il secondogenito e la prima subito dopo.

FACCIAMO CHE IO SIA DIO

Esplodevo dalla terra come fuoco
e perforavo il cielo come luce.
Io sono Dio, mi dicevo, io sono Dio.
Forse era sogno, o forse no
facciamo allora che io ero Dio
solo per poco
e tutto vedevo farsi piccolo e lontano:
la Madonna e Cristo sulla croce
e voi bestemmiatori a farvi scudo con un braccio
per proteggervi gli occhi
e per nascondervi.
Non ci sono più segreti ormai,
io li ho svelati a me
tutti dal primo all'ultimo;
torno sulla terra a viver come un cane
in mezzo agli altri,
a latrare come tutti
ora che non c'è nulla che io debba sapere.


QUANDO ERO PICCOLO

Quando ero piccolo sognavo
le cose che avrei fatto da grande:
l'aviatore, per esempio, il pompiere, il corridore
ciclista, il comandante di una divisione
di bambini tutti maschi, solo maschi,
da me guidati in una guerra senza quartiere
contro un esercito di bambine.
E poi noi vincevamo la guerra
e le bambine legate a testa in giù.
Sognavo a occhi aperti
ogni giorno, sempre, qualche volta anche di notte,
protetto da tutti nella mia famiglia,
al coperto da ogni intemperie,
al sicuro come in un ventre di vacca.
Quando mio padre mi ha lasciato pensavo:
sono ancora un figlio, ho mia madre,
sono il suo eterno ultimo bambino
e ho navigato sicuro altri diciotto anni.
Quando anche mia madre mi ha lasciato ho visto l'orizzonte
arrivarmi davanti ai piedi in un colpo.
Da allora giro in tondo sopra una mattonella
con figli e figlie e nipotini a lambirmi
come ondate su una spiaggia,
adesso che dovrei essere io
colui che protegge.

15 commenti:

  1. Bello l'incipit, perché unisce un sogno ricorrente abbastanza universale a un dettaglio soggettivo assai particolare, quello dei crini di cavallo.

    A me non capita di sognare sapendo che sto sognando, mentre invece mi capita di sperare che sia soltanto un sogno. Quando l'incubo si rivela di peso stritolante, perché contiene cose troppo definitive (ho ucciso qualcuno e sono torturato dal rimorso, oppure un mio caro sta per morire, o sto per morire io, o sto rifacendo ingiustamente per l'ennesima volta il servizio militare) una parte di me, cosciente ma non distaccata al sogno, sempre dentro l'io che sogna, arriva allora ad augurarsi il sollievo di un risveglio...)

    Delle poesie mi è piaciuta molto la seconda, specie quella conclusione, quello scoprire in sé una disarmante inadeguatezza: "adesso che DOVREI essere io colui che protegge".

    Ciao!

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  2. In gioventù avevo alcuni incubi ricorrenti, piuttosto comuni credo: Precipitavo da un'altura, planando come una foglia morta. Sentivo il fiato che rimaneva compresso dentro di me, e mi dicevo "è un sogno, è solo un sogno, adesso finisce". Oppure mi veniva addosso un treno, cioè la locomotrice a velocità iperbolica. Credo che ogni volta ne morissi, ma mi svegliavo un attimo prima del fatale impatto. Nel caso del treno non mi veniva fatto di pensare che fosse un sogno: mi sorprendeva sempre per la velocità.
    Adesso, non so perché, questi incubi "giovanili" si sono esauriti, e un po' mi mancano.
    Mia moglie, che legge tutto sui sogni e su queste cavolate, sostiene che uno sogna le sue paure. Sarà pur vero -in fondo è logico venire aggrediti dalla proprie paure- ma io non faccio questo automatico paradigma.
    Penso che quando avevo un'età con cifre basse sapessi che andavo incontro a continui rischi, oggi rischio solamente di scivolare e di spaccarmi il deretano.

    Ti do un dieci sulla scelta della seconda poesia: è la più intensa, ma la prima l'ho messa lo stesso, anche se un tantino retorica. Non mi è mai piaciuto mostrare il mio lato in fiore -se mai ce ne sia stato uno- ma rivendico il diritto di mostrare anche la parete bagnata dell'urina dei cani randagi, che tengo dentro di me.

    Ciao!

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  3. Dove diavolo sei andato a pescare i crini di cavallo?? Dopo aver letto il commento di Nik mi sono trovata a canticchiare non è un capello ma un crine di cavallo!
    e a scoprire che avevo sempre canticchiato non è un cappello , con due pi. :))
    L'incipit è un bell'assaggio, vediamo se il seguito sarà altrettanto buono. Non vedo l'ora di immergermi nella lettura, in ammollo.
    Il titolo non mi piace granchè, ma è meglio un brutto titolo per un buon libro che viceversa.

    La questione dei sogni è troppo intrigante per relegarla in un commento, ti dico solo che tua moglie ha ragione, as usually. ;)
    Per le poesie devo solo trovare il momento giusto per leggerle, che non è questo.
    Ciuuusss

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  4. Si vede che sei di una generazione successiva alla mia, un tantino più viziata della nostra, che non lo era affatto. L'unica cosa buona fatta forse dal Fascismo: allevare i maschi a pane e calci in culo.
    I nostri materassi erano di crini di cavallo, per quelli un po' più signori, e di foglie di granturco -hai letto bene- per i contadini e i poveracci.
    Convengo con te: meglio un brutto titolo e un bel libro che viceversa. Ma perché poi brutto?
    Per le poesie prenditi il tempo che vuoi.
    Tschüss.

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  5. Dissento (ma lo sai già) sulla presunta cosa buona del fascismo: avessi dei figli, alleverei a pane e carezze sia le femmine che i maschi, che devono diventare Uomini, non bulli o guerrieri... :)

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  6. hai ragione tu; d'altra parte io ho allevato i miei 4 marmocchi a carezze.
    Il fascismo voleva i guerrieri ed ecco cosa ha generato.
    Con una distinzione: noi ci siamo abituati alle privazioni, specialmente durante la guerra, che -vedi caso- ci aveva dato il fascismo.:)

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  7. Nik avrebbe dovuto fare il pompiere, non lo scrittore ;)
    Ma passiamo alle poesie: della prima mi piace l'immagine dei bestemmiatori che si fanno scudo con il braccio, come in un dipinto biblico, non so quale, dimmelo tu, ma per il resto è troppo criptica.
    La seconda è più chiara, disarmante nella sua sincerità, rende bene lo sgomento che si prova quando dopo la morte dei genitori ci si trova in prima linea.
    Inoltre trasfroma in versi quello che dicono i vecchi, qui, quando parlano dell'avvicendarsi delle generazioni: è una ruota che gira , dicono.
    Tschüss.

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  8. A proposito dei crini di cavallo: io sarò anche della generazione baby bummete, ma le mie origini sono contadine, indi mia mamma mi aveva già raccontato che i loro materassi venivano riempiti di melgascc!
    Scommetto che tu invece eri un borghesuccio che dormiva su quei benedetti crini! ;)

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  9. Se Nik fosse riuscito a spegnere fuochi per come scrive non ci sarebbero mai stati incendi in Italia.
    Quelli che si fanno scudo con un braccio sono "i dannati" nell'affresco "Il giudizio Universale" nella Cappella Sistina, opera di Michelangelo.
    Bello il commento delle poesie, specie della seconda, che a quanto pare ti piace.
    Ignoro cosa significhi questo termine ostrogoto "melgascc", spero non si tratti di me...lma fresca.
    Scommessa persa, carina: io non ero, né fui, né mai sarò un borghesuccio. Il materasso di lana grande a due piazze era per i genitori e per i vecchi. Ai ragazzi come me, che sembravano gracili -attenti a non fargli piegare la schiena, gridava mia nonna-, toccava dormire sui durissimi materassi di crini di cavallo.
    Non c'entrava niente il duce e le chiacchiere, solo le spalle un po' delicate.
    Sembra che abbia funzionato, visto poi le spalle che mi sono venute. Grazie nonna.

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  10. Comnplimenti per il tuo nuovo romanzo. Bravo Enzo, ti auguro un mondo di successo, te lo meriti. :)

    Ho gradito molto la poesia FACCIAMO CHE IO SIA DIO.

    E bella anche la tua nuova veste grafica. Un tocco di gioventù al tuo prezioso spazio.

    Ciao. :)

    LeNny.

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  11. Grazie fratellino per i complimenti.
    Hai visto che mi sono ringiovanito, almeno graficamente? Beh, faccio quel che posso, mica sono un giovincello come te e Nik. mi devo adeguare per stare al passo con voi.
    Ciao, fratellino, ciauuuu! :))

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  12. Ho visto, ho visto... Se hai bisogno di aiuto sai dove e come suonarmi il citofono. :P

    Ciao. :)

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  13. Grazie. Lo farò appena posso, e appena passo dalle tue parti.
    Ciao fratellino.:))

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  14. i melgascc sono le foglie delle pannocchie

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  15. È vero verissimo: a Valentano durante i quasi tre anni di sfollamento, avevamo sti materassi riempiti di melgascc, cioè di foglie secchie di granoturco.
    Pensavi di battermi? Ma io ne ho passate piccola! Durante la guerra ne ho viste di cotte e di crude. Beata te che sei nata molto dopo che era tutto finito.

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