lunedì 4 ottobre 2010

LE BELLE FESTE IN FAMIGLIA DI UN VOLTA

Noi, che eravamo 14 cugini DOC e ci chiamavamo per telefono una settimana prima, ogni tre mesi.
Noi, che prendevamo accordi e consolidavamo la nostra alleanza.
Noi, per i quali quell'evento rappresentava una mano di colore sulla facciata grigia della vita, considerata l'età felice che avevamo allora.
Noi, che vivevamo "in temporibus illis", dove non c'era ancora la TV, il Festival di San Remo arrivava via radio e lo vinceva sempre Nilla Pizzi, sempre con l'orchestra del maestro Angelini e la conduzione di Nunzio Filogamo ed il suo "Miei cari amici vicini e lontani, buonasera, buonasera, ovunque voi siate".
Noi, che preparavamo i tavoli allineati sotto il pergolato della casa di campagna di zio Aldo, oppure quando era il turno sulla terrazza di casa mia, o nel cortile di zio Sante, o nel giardino della casetta sul mare di zia Giulia, che capitava sempre d'estate nemmeno a farlo apposta.
Noi che disponevamo le sedie - ventotto - badando a non mettere nessuno a capotavola, per non farli litigare subito per chi ci si doveva sedere.
Noi, che mettevamo la sedia col cuscino alto di zia Giulia (era piccola e ci sformava) ben lontana da quella con lo schienale alto riservata a zio Sante (se la portava da casa), per non veder volare sberle tra fratello e sorella.
Noi, che mangiavamo tutto di corsa in modo da finire per primi e non perderci nemmeno una chicca dei loro battibecchi.
Noi, mi pare a questo punto che avessimo acquisito il diritto di goderci in prima fila lo spettacolo della rissa tra fratelli tre e sorelle due, senza morti né feriti ma con parolacce a gogò.

Qualunque fosse l'argomento iniziale andava sempre a finire a pianti -le due femmine- e strilli -i tre maschi. Vedere frignare come bambini innocenti i nostri antenati più prossimi era uno sballo.

"Tua moglie ha partorito nel mio letto perché non avevate nemmeno i soldi per comprarvene uno", strillava mia madre, che ce l'aveva con Zio Aldo.
"E io ti ho rifatto l'impianto elettrico di tutta la casa senza pretendere un soldo e ci ho rimesso pure il materiale", strillava di rimando zio Aldo.
Ma la più bella di tutte, quella che ha fatto sganasciare dalle risate per delle ore i 14 cugini 14, è stata di mia madre, modestamente. Ce l'aveva con lo zio Sante.
"Ridammi le due lire, che ti ho prestato nel 1914 e che non ho più visto".
Eravamo nel 1948, credo. Per comprare un pacchetto di schifosissime Alfa occorrevano 80 lire, e mia madre voleva indietro DUE lire!
"Non te ridò nemmeno se ti ammazzi", fu la risposta di zio Sante.
Noi, i superstiti dei magnifici 14 -purtroppo solamente tre- ancora ci facciamo venire le lacrime agli occhi dal ridere nel ricordare quel botta e risposta.
"Siamo rimasti solo noi tre a ricordarcelo, non è vero Enzarè?", mi diceva al telefono Anna qualche mese fa.
"Sì, le ho risposto, solo noi tre, Chichì, Cocò e Cachemeocazze".
Naturalmente per rimanere in sintonia coi vecchi tempi belli.


2 commenti:

  1. Scusa per il fuori tema, ma volevo dirti che come promesso ho appena finito di leggere il tuo MARTEDI’ DOPO L’AUTUNNO!
    Voglio cominciare dai (pochi) difetti, per non sembrare un leccaculo o un ipocrita complimentoso. Sulle prime mi sono sentito orfano della buona scrittura secca e bukowskiana che mi avevi fatto conoscere con alcuni tuoi racconti. Ti ho trovato un po’ prolisso, sovraccarico di aggettivi e avverbi, come se invece di scrivere tu stessi narrando a voce. E poi, era come se per dare l’idea della verosimiglianza tu pretendessi (specie nella parte sotterranea) di mostrare TUTTO, passo per passo, secondo per secondo, centimetro per centimetro, particolare per particolare, il che è intenzione meritoria, ma un romanzo, secondo me, necessita di più stacchi, più “non detto”, più sintesi. Considerando che con caratteri e spaziature “normali” quel libro supererebbe le 700 pagine, fossi stato il tuo editor qualche sforbiciata l’avrei data.
    Malgrado ciò, credo che tu sia un bravissimo narratore, e che abbia raccontato una storia che regge, si lascia leggere, in alcuni punti addirittura appassiona e tiene incollati alle pagine, una storia da cui si potrebbe benissimo ricavare un film. Portentoso il flash back siciliano di Terenzio, portentosa la (doppia) rivelazione sulla morte di Christine! E ogni tanto pennellate d’autore, anche a tinte forti, come quella carogna di gatto sulla spiaggia, gonfia come un pallone. Mi trova concorde quello che (a parer mio) è uno dei temi di fondo: che le persone intelligenti si rendono prima o poi conto che i troppi soldi non servono a un cazzo (se troppi-troppi sono addirittura nefasti, motivo per cui io che amo i giochi non gioco MAI al superenalotto), e che la felicità si può trovare molto più facilmente vivendo in pace e in (quasi) povertà a Coronella. Il pittore che si annoia a studiare cose che già sapeva a due anni mi han riportato ai tempi della scuola, quando io sapevo già leggere e scrivere, e gli sforzi che quei poveracci dovevano fare per alfabetizzarsi mi erano del tutto incomprensibili, quando io conoscevo già i numeri infiniti e provavo irritazione per chi non riusciva a cacciarsi in zucca e a ripetere balbettando la cantilena da uno a dieci.
    Confesso invece di essermi annoiato sui flash back finali: la storia di Billa, i primi tempi con Christine, il figlio calciatore (storia bellissima, dolce e tremenda, questa, con la perla di quel padre che fa il tifo per il bambino sbagliato, ma un racconto a sé stante che c’entra poco, a quel punto, col romanzo). Un tempo avevo anch’io questo vizio, di rallentare il ritmo e ritardare la fine con digressioni e divagazioni a non finire, mentre la verità è che una storia a un certo punto giunge alla sua naturale “maturazione” e il frutto va colto in fretta per non farlo marcire: il lettore, lì giunto, “pretende” il finale.
    Spero che le mie critiche ti giungano come commento spassionato e come sinceri (e fallibili!) consigli di un collega, e non come un mio mettermi presuntuosamente in cattedra.
    Comunque, a proposito di cattedra, il mio voto è un bel 7 pieno.

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  2. p.s. la penultima frase del tuo post mi ha riportato a un vecchio ricordo, al giorno in cui io ragazzino temetti che un mio amico avesse scandalizzato un mio cugino che era solo un bambinetto dicendo "Mimì, Cocò e Kaghemucazzo". Immagina il mio terrore quando il cuginetto sembrò voler ripetere la filastrocca davanti agli adulti. Ma per fortuna il piccolino l'aveva trasformata in un (per lui) più comprensibile "Mimì, Cocò e Succodifrutta"... :D

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