Undicesima puntata
A casa Verena accese il suo PC, introdusse il dischetto numero 4 nell'apposita fessura e aprì il file.
Filename: VOLO UNITED AIRLINES 93
Le due ragazze entrarono all'interno dell'aereo separatamente, una delle due trascinava per mano un moccioso riottoso che inforcava un paio di occhialoni scurissimi. Da sotto i suoi jeans sdruciti spuntavano due stivaletti neri lucidissimi. Le due ragazze sedettero ai lati opposti del corridoio, un paio di metri l'una dall'altra. Quella di destra spinse con forza a sedere il ragazzino nel posto accanto all'oblò. Il bambino si divincolò e mugolò qualcosa incomprensibile. La giovane Stewardess teneva già d'occhio da quando erano entrati lui e la ragazza; si avvicinò con un largo sorriso. Era una donna alta e graziosa con occhi e capelli neri e sapeva di apparire magnificamente nella sua divisa; il suo sorriso e la sua gentilezza la vincevano con tutti, uomini donne e anche bambini.
-Forse ha fame il nostro piccolo uomo, disse chinandosi verso il bambino e gettò un occhiata al suo orologio, non erano ancora le sette e mezza. Fra mezzora decolliamo e subito dopo ti porto la colazione.
-Non è la fame, le rispose la ragazza; è soltanto un po' nervoso.
-Paura di volare?
Per tutta risposta il bambino le mostrò la lingua. Poi si alzò di scatto e prese fra le dita la targhetta col nome appuntata sul petto della donna, avvicinandosi come per leggerla meglio.
-Io mi chiamo Cee Cee Ross. lo aiutò lei; e tu come ti chiami?
Il ragazzino la fissò senza aprire bocca.
-Ho visto che la lingua ce l'hai, perché non vuoi dirmi il tuo nome?
-Non può, intervenne la ragazza; è sordomuto dalla nascita.
-Oh, mi dispiace.
-Si figuri, mi fa diventare matta anche senza parlare.
Cee Cee voleva rifarsi un po' col ragazzino. Gli sparò un sorriso speciale.
-Perché non ti togli quegli occhialoni? Visto che non riuscivi nemmeno a leggere il mio nome? Chissà che begli occhi che hai.
Il sordomuto ci pensò su un attimo poi si tolse gli occhiali. Il sorriso scomparve dalla bocca di Cee Cee Ross.
-Che strano, mormorò, poi si scosse. Scusatemi, ho un sacco di cose da fare, e si allontanò rapidamente.
Cinque minuti dopo entrarono quattro uomini e sedettero nei posti liberi che trovarono. Per ultimo entrò un quinto uomo molto alto e dall'aspetto severo. Percorse tutto il corridoio fino in fondo all'aereo guardando i pochi passeggeri come se cercasse qualcuno. Sfiorò appena con lo sguardo i due arabi seduti in prima fila e un altro seduto quasi al centro, che era arabo anche lui ma sembrava non avere niente altro in comune coi primi due. Arrivato in fondo al corridoio l'uomo alto e severo tornò indietro e sedette una fila dietro alla ragazza col bambino. Giusto in tempo per stringersi la cinghia di sicurezza ché l'aereo era già pronto a rollare sulla pista.
Alle 8,01 il Boeing 757 del volo UAL 93 si staccò dalla pista del Newark Airport diretto a San Francisco alzandosi in un meraviglioso cielo blu. Venti minuti dopo l'arabo seduto al centro si alzò avviandosi verso le toilette anteriori. Afferrata la maniglia aprì la porta, ma subito la richiuse precipitandosi sullo Steward che gli dava le spalle. Era comparso qualcosa nella sua mano destra forse un trincetto o una lima per le unghie. Sapeva comunque farne un uso estremo perché un attimo dopo lo Steward crollò sgozzato a terra. Un passeggero delle prime file grande e grosso, forse un militare, reagì con prontezza cercando di afferrare il braccio armato dell'arabo, ma fu sopraffatto dagli altri due arabi che adesso brandivano ognuno attrezzi da taglio simili a quello dello sgozzatore. Il passeggero robusto fu ripetutamente pugnalato sui reni e sui fianchi; cadde a terra e morì poco dopo. C'era sangue da per tutto. Sovrastando le urla di panico il primo arabo gridò ai passeggeri:
-Questo è un dirottamento! Andate tutti in fondo e sedete tutti negli ultimi posti.
Estrasse un oggetto tondeggiante da una tasca dei pantaloni.
-Questa è una bomba a mano. Può fare spaccare in due la fusoliera. Sedete in fondo, maledizione, o morirete tutti!
I due suoi compagni erano già entrati nella cabina di pilotaggio e si sentivano provenirne urla e il rumore di una colluttazione mortale; ma l'arabo con la bomba non si curò di quello che avveniva alle sue spalle. Diede uno spintone a Cee Cee Ross scaraventandola verso il fondo. Lei perse una scarpa nel corridoio, arrivò in mezzo agli altri ostaggi claudicante e con gli occhi pieni di lacrime; si lasciò cadere in una poltroncina, si sfilò la scarpa rimasta e la scagliò lontano da sé. Un attimo dopo si coprì il volto con le mani emettendo un grido strozzato. Attraverso la porta della cabina spalancata i due arabi trascinarono fuori i corpi senza vita dei due piloti. La testa del Comandante Jason Dahl penzolava di lato, quasi del tutto staccata dal busto.
I tre confabularono tra loro, poi uno di quelli che avevano ammazzato i piloti rientrò nella cabina. Alcuni secondi più tardi l'aereo iniziò una grande virata a sinistra.
-Stiamo tornando indietro, esclamò Cee Cee. Poi estrasse di tasca il suo handy, chiamò il marito e gli riferì quel che era successo. La stessa cosa fece Laureen Grandeola; Jeremy Glick telefonò a sua moglie Lizabeth. Alcuni minuti dopo telefonavano tutti.
-Un aereo pochi minuti fa ha centrato una delle Twin Towers a New York, urlò una donna; mia figlia mi ha detto che sta su tutte le televisioni.
-Cristo! Questo è un commando suicida, esclamò Mark Bingham e chiamò subito sua madre Alice al telefono.
-Non è possibile, gridò qualcuno; non spargete il panico.
-Invece deve essere così, disse un altro, altrimenti non avrebbero ammazzato i piloti.
-Non possiamo rimanere inerti e aspettare la morte, esclamò Thomas Burnett; dobbiamo batterci. Forse non salveremo l'aereo ma almeno non lo faremo precipitare dove vogliono loro. In che direzione stiamo andando? Chiese a Cee Cee.
-Credo che vogliano arrivare a Washington, grosso modo questa è la rotta.
-La Casa Bianca! Esclamò Jeremy Glick.
-Cristo, è vero! Dissero in molti.
-Vogliono ammazzare il Presidente, disse Thomas Burnett, e cominciò a telefonare a sua moglie.
-È sicuro, è sicuro! Gridò Laureen Grandeola; me lo ha detto adesso mio marito: un altro aereo ha centrato la seconda delle Twin Towers. Dio mio, moriremo tutti!
Il limite del panico era stato ormai superato, ora erano tutti entrati nel grande campo della disperazione fredda, calma che ogni condannato a morte conosce pochi attimi prima dell'esecuzione.
-Saltiamogli addosso, sono solo in tre.
-Non avete una chance contro quella gente, disse la ragazza che teneva tra le braccia il piccolo sordomuto; lasciate fare a loro, e indicò i cinque uomini che se ne erano rimasti tranquilli e in silenzio come se la cosa non li riguardasse.
-Possiamo aiutarli, disse Thomas Burnett; siamo uomini anche noi.
-Non basta amico, disse quello dei cinque che era entrato nell'aereo per ultimo. Quei tre sono professionisti e anche noi lo siamo.
-Da come parli direi proprio di sì, disse Thomas, ma due o tre di noi possiamo esservi di aiuto.
-Occupatevi delle donne e state alla larga, disse quello entrato per ultimo che parlava come un capo.
Si avvicinò al piccolo sordomuto e gli aprì davanti al viso il palmo della mano destra. Il ragazzino si rimboccò i pantaloni, estrasse da dentro i suoi stivali gli speroni e glieli mise nel palmo aperto. Poi si tolse la cinghia di cuoio dei pantaloni e offrì anche quello all'uomo che sembrava il capo. Questi passò gli speroni a due del suo gruppo e si arrotolò la parte terminale della cintura intorno al polso destro, lasciando pendere circa mezzo metro di cuoio con in fondo una fibbia dalla foggia strana, ma tagliente come un rasoio.
-Stiamo già sorvolando la Pennsylvania, disse una delle due ragazze.
-Ancora pochi minuti, aggiunse l'altra.
L'uomo che si comportava come un capo emerse dal mucchio degli ostaggi e si incamminò lungo il corridoio centrale del velivolo muovendosi con estrema circospezione. L'arabo gli mostrò la bomba a mano come terribile monito, ma visto che l'altro continuava ad avanzare gli urlò:
-Mi basta allargare le dita, ho già tolto la sicura. Vattene bastardo! Anche gli altri devono andarsene. Via tutti! Indietro!
Ma i quattro uomini avanzavano di lato scavalcando le spalliere delle poltrone. Quello che camminava lungo il corridoio era ormai a pochi passi dai due arabi, che aspettavano l'attacco con apparente sangue freddo. L'uomo che sembrava il capo allargò le braccia come Cristo, lasciando la cinghia penzolare bene in vista.
-Bada cane che allargo le dita!
-Fallo! Gli rispose l'uomo che stava nella positura di Cristo sulla croce; tanto non arriverete mai a Harrisburg.
Vide un lampo di sorpresa negli occhi dell'arabo e lasciò guizzare la cintura di cuoio che gli si svolse velocemente lungo il polso mentre la taglientissima fibbia cercava gli occhi dell'avversario. Li trovò e li fece esplodere entrambi in un attimo. L'arabo cacciò un urlo di morte lasciando cadere di mano l'innocuo oggetto di legno dipinto con vernice metallica che fino allora aveva stretto. Cieco e trafitto da dolori atroci fendette l'aria col trincetto mentre un secondo guizzo della fibbia gli tranciava giugulari e carotidi. Morì in pochi istanti. L'altro arabo aveva ingaggiato una impari lotta contro i due armati degli speroni del sordomuto. Uno dei due gli infilò il suo sperone nella gola fulminandolo all'istante.
Mentre dal fondo dell'aereo provenivano selvagge urla di giubilo, il capo spalancò la porta della cabina di comando. L'arabo che pilotava in quel momento l'aereo si girò a metà, ma non ebbe il tempo nemmeno di capire che qualcuno era entrato nella cabina: morì quando la lama della fibbia gli troncò di netto le vertebre cervicali. Si afflosciò sulla cloche e l'aereo abbassò subito il muso iniziando a precipitare.
-Via di qui! Ordinò alla sua gente il capo. Tutti verso il fondo!
-Salvali, lo pregò la ragazza che si teneva vicino il piccolo sordomuto; puoi atterrare, è tutta una pianura.
-Non è possibile, rispose il capo; ci hanno visto e non si dimenticherebbero più di noi.
Il Boeing mantenne il muso verso il suolo ancora per pochi secondi, poi si abbatté ai limiti di un giovane bosco.
Due contadini che si trovavano a circa quattro chilometri dal punto dell'impatto, pur correndo arrivarono sul posto più di un quarto d'ora dopo. Buon per loro che non fossero più vicini altrimenti avrebbero visto e raccontato cose che nessuno avrebbe mai creduto. Avrebbero raccontato di aver veduto uscir fuori dal rogo un gruppo di superstiti, cinque uomini, due donne e un bambino, che si erano allontanati chiacchierando come se fossero usciti da un cinema commentando il film che avevano appena veduto. Non avevano nemmeno i vestiti bruciati, un miracolo. Quei due poveri contadini avrebbero a lungo marcito in un ospedale psichiatrico. Fu una vera fortuna per loro essere arrivati in ritardo sul posto.
Subito dopo la caduta dell'aereo i componenti del gruppo di intervento uscirono uno alla volta dai rottami in fiamme; dovettero aspettare un paio di minuti il piccolo sordomuto che si era attardato a recuperare la cinghia di cuoio e i suoi speroni splendenti cui tanto teneva. Quando il piccolo arrivò si allontanarono rapidamente e sparirono in pochi minuti.
Grandioso e avvincente. Fra l'altro la scrittura non par sbagliare un colpo: sono già di buonissimo livello anche gli altri capitoli, ma questo direi che potrebbe andare alle stampe senza bisogno di editing..
RispondiEliminaCaro Nik, questa mattina ancora a letto, nella mia ora più bella, quella del dormiveglia, ho sognato a occhi semiaperti che tutti i politici, i gabellatori di infamie e di fandonie, i preti, i frati e le monache erano stati espulsi dal patrio suol, e che in questa nostra bella Italia parlavano solamente gli artisti, i poeti, gli scrittori e i musicisti.
RispondiEliminaEra solo un sogno, lo so, ma qualcosa si potrebbe anche fare. Fatti venire una delle tue idee dissacranti.
Ad ogni modo grazie per il sostegno.