venerdì 25 novembre 2011

PROVA DI ROMANZO 4 -SEGUITO-


33. Quando il furgone giallo del Soccorso Autostradale ripassò lentamente davanti al garage per la seconda volta in poco più di un quarto d'ora, l'uomo irrigidì le mani sul volante e fece segno alla ragazza di tacere. Lei gli stava raccontando di come era arrivata in quella città dal suo paese e per passare il tempo andava bene, anche se avevano dovuto aprire i finestrini per non fare troppo appannare i vetri ed erano quasi intirizziti. Adesso però doveva stare bene attento perché un furgone dell'Autosoccorso che passa a quell'ora due volte di seguito piano piano non poteva essere una coincidenza.
Vide in quel momento che una grossa vettura avanzava a fari spenti. Accostò al marciapiedi e rimase immobile.
-È questa qui la gente che aspettavi nel locale?
-No, questa è la gente che non si deve mai incontrare.
-Che vogliono da te?
Non le rispose, ma le afferrò un ginocchio stringendoglielo perché capisse e tacesse. Si era sentito gelare il sangue: alla scarsa luce dei pochi lampioni della strada aveva intravisto qualcuno che si muoveva molto lentamente lungo il muro accanto allo stipite del garage, alla loro destra.
Lo sconosciuto girò la testa verso l'interno osservando la macchina e ogni angolo; quando credette che il garage fosse vuoto entrò dentro appiattendosi alla parete senza perdere d'occhio la strada.
La ragazza quasi non respirava più dalla paura ed aveva cercato di scivolare sotto il sedile per scomparire, ma lui l'aveva trattenuta premendole con forza il ginocchio perché rimanesse immobile. Nell'immobilità era la loro salvezza. L'altro ormai non guardava più verso di loro. Il suo istinto gli diceva che quello era un Pretoriano.
In quel momento il furgone giallo dell'Autosoccorso passò per la terza volta, quasi senza far rumore tanto andava piano.
L'ombra si mosse ritraendosi verso l'interno e lui lo vide per un attimo in faccia. Adesso sapeva chi era.

34. Il Centurione era sicuro che i due uomini all'interno del furgone giallo non avevano potuto vederlo. Lo preoccupavano però gli altri due dentro la grossa macchina ferma accanto al marciapiedi, e soprattutto era in ansia perché non sapeva che fine aveva fatto il Caposquadra e tutti i suoi uomini. La pentola bolliva da un pezzo e c'era da scottarsi di brutto, perché quella gente non aveva scrupoli.
Il furgone tornava in quel momento a marcia indietro coi fari spenti. Si arrestò proprio di fronte al garage. Adesso non poteva fare più niente senza la squadra e con quella gente lì fuori. Tra un po' avrebbe comunque avuto la risposta alla domanda che gli era venuta in mente fin dall'inizio, se cioè quelli volevano aiutare il ricercato a mettersi in salvo, oppure ammazzarlo. Era questione ormai di pochi minuti.
Uno spilungone uscì dalla grossa berlina, attraversò la strada ed entrò nel portone della casa di fronte; dal furgone era sceso intanto un uomo che indossava una tuta da meccanico. Si guardò attentamente attorno, poi entrò rapidamente anche lui nel portone buio.

35. Appena si trovò all'interno l'uomo che indossava la tuta da meccanico girò a destra nel corridoio stretto fino alla scala. Salì al primo piano e si fermò all'inizio del corridoio. Lo spilungone stava armeggiando con una serratura. L'uomo che indossava la tuta da meccanico sentì uno scatto leggero e automaticamente tirò fuori la pistola.
Lo spilungone gli fece un cenno quasi impercettibile, poi spinse con un dito la porta aprendola. Attese alcuni istanti poi entrò silenzioso come un gatto. Un paio di minuti dopo riuscì. Gli passò avanti senza fare un fiato e discese le scale non preoccupandosi del rumore che faceva.
L'uomo con la tuta rimise la pistola in tasca: per quella volta era finita e si tornava a casa. Prima di tornare all'aperto lo spilungone si girò verso di lui.
-Non c'era nessuno là dentro, il tipo non è uno stupido. Tu torna al deposito col carro attrezzi e aspettami lì. Io faccio un paio di telefonate e organizzo qualcosa.

36. Nei mesi che seguirono Gegè si mise ad organizzare il suo negozio senza chiedere niente a nessuno, né favori né permessi perché quello era il suo mestiere e nessuno gli poteva insegnare niente. La cosa più importante era riallacciare i contatti e la maggior parte del tempo la passò attaccato al telefono. Il problema grosso era la lingua, perché lui non parlava il tedesco, né il polacco né il russo, ma solo americano e napoletano.
-Ma si sa che con l'americano si può girare mezzo mondo, e col napoletano -modestamente- l'altra metà, disse Gegè ridendo
Alla fine riuscì a far funzionare tutto al meglio senza nemmeno vedere la merce.
-Non ho detto senza toccare la merce, hai capito? Ho detto proprio senza vederla, perché è qui che sta la forza di questo commercio: la merce parte da chi vuole vendere e arriva a chi vuole comprare, e tu devi vedere e toccare solamente i soldi tuoi, belli e puliti.
-Ma che roba era? Droga pesante?
-Ma che hai capito? Droga pesante? Ma per carità! No, no. Lì c'è troppa concorrenza, e poi non è il mio genere.
Gli si avvicinò mormorandogli all'orecchio:
-Io tratto solamente armi. Kalaschnikov, bombe a mano, mitragliette, cannoncini, razzi, bazooka e se capita anche qualche carro armato e qualche Mig, ma quella è merce rara.
Avvicinò lo sgabello al suo, appoggiandosi con entrambi i gomiti al tavolino che avevano in comune.
-I soldi si fanno di più e più facilmente con il Kalaschnikov perché te lo comprano tutti, e di quelli in Germania è pieno.

37. Per primo vide uscire dalla casa di fronte lo spilungone che saltò dentro alla grossa vettura, che nel frattempo gli si era avvicinata. Poi vide l'uomo che indossava la tuta da meccanico. Se ne stava nel buio del portone come fosse indeciso; attraversò la strada con eccessiva lentezza, si accese una sigaretta, ma era nervoso, si vedeva che era assai nervoso. Salì al volante del suo furgone, mise in moto e partì sgommando.
Allora vide il Centurione farsi avanti dal buio del garage ed allungare il collo come per cercare qualcuno o per assicurarsi che la via fosse libera. Se ne andò subito senza voltarsi.
Lasciò allora il ginocchio della ragazza che aveva tenuto stretto per tutto quel tempo. Pensava di averle fatto un po' male, ma lei dentro di sé gli era grata di quel dolore perché le aveva dato la forza di sopravvivere al terrore. Di solito urlava per sciocchezze e le si gelava il sudore lungo la schiena per pericoli soltanto immaginati e non realmente mortali come quello. L'uomo si accese due sigarette e una la mise tra le labbra della ragazza.
-Finita questa ce ne andiamo.
-Devo prima fare un salto a casa, ci ho lasciato tutta la mia roba.
-Andiamo via come razzi senza perdere nemmeno un minuto, in quella casa non ci metti più piede.
-Ma non ho niente per cambiarmi, e nemmeno uno spazzolino per i denti.
Lui non le rispose nemmeno e lei si appoggiò allo schienale senza più protestare.
L'uomo gettò il mozzicone, mise in moto e uscì dal garage lentamente. Arrivato alla strada accese le luci e girò subito a destra, accelerando progressivamente. Cominciava ad albeggiare.

38. Il Centurione andava su e giù per il marciapiedi gelato battendo energicamente i piedi per riattivare la circolazione del sangue, che gli si era quasi bloccata in quel garage gelido. Era indignato e furioso. Aveva telefonato alla Centrale operativa del Pretorio e si era sentito rispondere che la squadra era già rientrata da un pezzo.
-Spediteli col fuoco al culo a questo indirizzo! Aveva urlato.
Roba da non credere. Gliela avrebbe fatta vedere lui al Caposquadra. Intanto però pensava a quel che avrebbe dovuto raccontare al Proconsole, e non sarebbe stato un quarto d'ora facile. Immaginava di dover mettere una pietra sopra alla sua promozione, e buon per lui se non lo trasferivano al servizio di frontiera.
Sentì arrivare due camionette col motore imballato. L'intera squadra saltò a terra precipitosamente rimanendo inquadrata e sull'attenti.
-Dov'eri sciagurato? Chiese al Caposquadra.
-Siamo rimasti in trappola nella Blumen Strasse. Uno stupidissimo autista ha lasciato spegnere il motore del camion della raccolta immondizie, e non gli andava più in moto. Ci ha tenuti bloccati quasi dieci minuti, e non abbiamo potuto seguire quel maledetto furgone. Così siamo tornati in Centrale aspettando nuovi ordini.
Quel camion della raccolta rifiuti non si trovava per caso nella Blumen Strasse, pensò il Centurione, e non era andato in avaria per volontà di qualche santo.
-Non abbiamo a che fare con dilettanti, amico mio, disse al Caposquadra. Adesso però controlliamo ogni appartamento di questa casa.
-Il ricercato è lì dentro?
-Sì, è lì dentro. Morto, se è giusto quel che penso.

39. Il Centurione alzò un braccio imperiosamente e tutta la squadra si immobilizzò. Anche il Caposquadra aveva visto la porta spalancata. Il Centurione entrò dentro per primo con fare deciso; non aveva armi indosso. Tanto coi morti non servono, pensò. Ma non trovarono cadaveri, né feriti, né disordine. All'infuori della porta lasciata aperta dava l'aria di un normale appartamento dove qualcuno aveva dormito e fatto la doccia da poco.
-Non sembra che abbiano portato via niente, perciò non sono scappati e devono ritornare qui, disse il Caposquadra dopo aver controllato il lungo armadio a muro.
C'era una quantità di vestiti e soprabiti femminili appesi ordinatamente, lo stesso ordine meticoloso era nei cassetti. Sul fondo dell'armadio una valigia semi nuova e vuota.
-Può darsi che non abbiano avuto il tempo di prendere niente, replicò il Centurione.
Ma allora dovevano essere usciti molto prima che quella gente facesse irruzione nell'appartamento, pensò. Scostò la tendina di una finestra e guardò giù nella strada. Gli andò subito lo sguardo al garage spalancato.
Quando si era nascosto lì dentro c'era una macchina, l'aveva vista bene, ma adesso la macchina non c'era più. Sentì la gola secca all'improvviso. Sarebbe il colmo, si disse, questo sarebbe veramente il colmo!
Quella macchina che aveva visto era vuota, doveva essere vuota quando lui aveva guardato dentro il garage. Non c'era nessuno, né dentro né fuori quella dannata macchina. Era rimasto nel garage più di dieci minuti e se ci fosse stato qualcuno nascosto se ne sarebbe sicuramente accorto. Ma la gente di norma non lascia durante la notte un garage aperto, a meno che non sia in fuga.
Si allontanò dalla finestra. Sarebbe il colmo, si disse nuovamente; ma sentiva che doveva essere andata proprio così. Gli era sembrata una fortuna trovare quel garage aperto in quel momento, era un nascondiglio perfetto ed era così soddisfatto del suo punto di osservazione assai ben protetto, che non gli era passato per la testa che la gente non lascia un garage spalancato di notte con una macchina dentro. Si era comportato come un vero somaro.
-Cosa facciamo adesso? Gli chiese il Caposquadra.
-Andiamo allo stramaledetto Deposito del Soccorso Autostradale e teniamo d'occhio quel fottutissimo furgone giallo e il suo strafottutissimo autista. Passiamo voce a tutti gli informatori che abbiamo di spalancare occhi e orecchie. Altro non possiamo fare adesso.

40. Erano da poco passate le nove e l'uomo che indossava la tuta da meccanico stava terminando il suo Frühstück a base di formaggio greco fresco e cotoletta di maiale ai ferri insieme al suo taciturno collega del furgone dell'Autosoccorso.
Lo spilungone entrò morsicando un panino con petto di tacchino lessato. Stringeva nella mano libera una lattina di Tuborg appena aperta.
-Il tizio è a Darmstadt, disse. Ha lasciato la macchina nel garage sotterraneo del Centro Commerciale.
-Chissà allora dove diavolo si trova adesso.
-Sta facendo acquisti insieme alla donna del Blaues Wunder. Un paio dei nostri li tengono d'occhio.
Si avviarono verso il parco macchine.
-Si va con la Porsche, disse lo spilungone, guidi tu, e gli tirò le chiavi.
Mentre pistava a tavoletta in autostrada a più di 270 vide lo spilungone che metteva il silenziatore alla Beretta e controllava il caricatore.

41. Gegè faceva tutte le sue cose per bene come aveva imparato dagli americani, senza lasciare tracce evidenti, buone per gli sbirri e per i concorrenti. A qualcuno però cominciava a dar fastidio quel giovanotto tranquillo, che parlava sempre sottovoce e cercava di non dare nell'occhio. Uno che va in Chiesa alla domenica mattina e aiuta i vecchietti ad attraversare la strada deve essere un gran figlio di puttana.
Gaetano Scognamiglio gli mandò un'ambasciata tramite una ragazza di Salerno, che lavorava in uno studio legale nella strada di fronte alla sua e parcheggiava sempre dietro il magazzino di Gegè Rossetti perché lì trovava sempre posto a qualsiasi ora.
-Don Gaetano vi saluta assai e vi manda a dire di guardarvi alle spalle, gli disse.
-Ringraziatelo da parte mia appena lo vedete, e riferitegli che alla mia salute ci penso da solo.
-Vi ho detto quello che vi dovevo dire, e adesso vi saluto.
Ma Gegè ormai si era insospettito e pensò di prendersi qualche giorno di vacanza.
Chiuse il magazzino e si fece portare a casa sua da un taxi.

42. Pensò che avevano già comprato tutto quello che poteva servire per un viaggio abbastanza lungo. Guardava già da tempo l'orologio.
-Siamo stati qui dentro anche troppo, le disse.
Si avviarono velocemente al parcheggio. Introdusse lo scontrino nell'automatico e pagò l'importo. La ragazza marciò decisa verso la Lancia Delta.
-Aspetta qui, le disse.
Dopo pochi minuti lo vide arrivare al volante di una Opel verde metallizzata. Saltò dentro senza fare parole, ma aveva una gran paura addosso.

43. L'uomo che indossava la tuta da meccanico uscì dall'autostrada a Griesheim e si avventò sulla via larga che portava al centro della città. Rallentò vistosamente quando si accorse del grosso furgone del Soccorso Stradale che sbarrava la strada. Avanzò al passo verso l'uomo in tuta arancione che gli correva incontro.
-Viaggia sulla A5 verso Heidelberg a bordo di una Opel verde targata Francoforte, AS 122, lo informò l'uomo con la tuta arancione. Due nostri equipaggi, il 21 e il 25, gli stanno già dietro, e passò allo spilungone un radiotelefono.
L'uomo che indossava la tuta da meccanico invertì la direzione di marcia per tornare sull'autostrada.
-Qui equipaggio mobile 21, chi siete? Domandò il capo macchina alla loro chiamata.
-Rimanetegli dietro in modo che non se ne accorga. Tra dieci minuti siamo lì, rispose lo spilungone.

44. Quando entrò nel suo appartamento nei pressi della Stazione Centrale Gegè smoccolò tra i denti: aveva dimenticato la finestra del soggiorno spalancata proprio in un giorno di pioggia. Stava già chiudendo i battenti ma si irrigidì di colpo. C'erano impronte di scarpe fangose sul davanzale.
Avvertì una sensazione di freddo alla nuca: qualcuno era entrato cercando qualcosa da rubare. In casa non teneva danaro, né roba di valore, ma proprio per questo poteva darsi che il ladro lo aveva aspettato nascosto lì dentro.
Gegè vendeva armi ma non aveva mai posseduto nemmeno un pistolino ad acqua. Si fece comunque coraggio e iniziò ad ispezionare l'appartamento. Qualche minuto dopo si rese conto con sollievo di essere solo in casa sua.
Tuttavia non riusciva a calmarsi e la sensazione di gelo alla nuca tendeva ad aumentare. C'era qualcosa di anormale che gli sfuggiva. Era confuso e sentiva crescergli il nervosismo. Tra poco sarebbe sprofondato nel panico e se la sarebbe data a gambe, come quando era piccolo, senza sapere perché.
Si accese una sigaretta, aspirò profondamente, chiuse gli occhi e cercò di produrre come un'isola artificiale intorno a sé. Quando giocava a poker e sentiva puzza di bluff riusciva in quel modo a concentrarsi e a prendere lucidamente la decisione se andare a vedere o passare.
Riaprì gli occhi. Cosa era stato che lo aveva reso così nervoso? Cosa aveva cercato il ladro? Dove aveva cercato il ladro? Ecco, dove aveva cercato?
Di colpo gli fu chiaro il motivo della sua inquietudine: in casa era tutto a posto come aveva lasciato lui alla mattina, eppure qualcuno era entrato dalla finestra come un ladro, ma non era un ladro. Pensò subito ai Pretoriani e a qualche marchingegno elettronico, sensore, microfono o chissà cosa.
Ricominciò un controllo minuzioso, con calma; questa volta era molto più difficile da trovare perché cercava un oggettino molto piccolo, forse nemmeno un centimetro di roba. Dopo mezzora aveva rovistato in tutti gli angoli dove potevano aver nascosto un aggeggio simile senza trovare niente. Era tutto sudato e decise di fare una doccia per ricominciare dopo la ricerca.
Uscì dal bagno indossando soltanto un accappatoio umido. Ricominciò mentalmente a considerare se aveva tralasciato di guardare in qualche angolino, in qualche buchetto nascosto continuando a strofinarsi l'accappatoio addosso.
Aprì l'armadio e cercò nel primo cassetto un paio di mutande pulite e sfiorò con le dita il pacchetto. Ci mise un attimo a capire quello che doveva fare.
Afferrò la busta di plastica e si infilò nel cesso: cercò di bucare l'involucro con le dita, di strapparlo coi denti, ma non cedeva. Sentì dai colpi fortissimi e sonori che stavano buttando giù la porta di casa, e mentre i Pretoriani balzavano nel corridoio riuscì finalmente a squarciare il contenitore. Ma già i primi lo avevano afferrato dal di dietro per le braccia e sbattuto col muso per terra.
-Almeno mezzo chilo, sentì che sghignazzavano. Roba fine, assaggia.
-Ti è andata male, pollastro, gli sibilò in un orecchio il Caposquadra. Ti sei preso i tuoi primi quindici anni.
Gli venivano ancora le lacrime agli occhi ogni volta che gli tornava in mente.
-È stata una gran vigliaccata, amico mio, gli disse, incastrarmi con l'eroina, questo è peggio della peggior galera. Io da quella roba lì me ne sono sempre tenuto alla larga, non ho mai guadagnato un centesimo bucato con quella porcheria.
Guardò Gegè che si nascondeva la faccia fra le mani.
-È stata proprio una gran porcata, convenne, e tirò su dal piatto l'ultima forchettata di tagliatelle.

45. Teneva d'occhio gli specchietti retrovisori più che la strada di fronte a lui, rimanendo su una velocità costante di 160 chilometri all'ora.
-Se ci capita un guasto non dovremo far fatica nemmeno per telefonare, le disse ridendo. Abbiamo due macchine del Soccorso Stradale tutte per noi.
Lei si girò di colpo.
-Sono loro?
Annuì.
-Non puoi andare più forte?
-Finché rimaniamo in autostrada non possono farci niente.
-E se esci ad Heidelberg o a Karlsruhe, ti infili nel traffico di città e rubi un'altra macchina?
-Questa è rubata, eppure sono dietro di noi. Non si tratta di dilettanti. Tiriamo avanti fino al confine svizzero senza fermarci, poi si vedrà.

46. La comunicazione urgente arrivò alla Centrale dei Pretoriani nella tarda mattinata. Una pattuglia di motociclisti aveva avvistato il ricercato sull'Autostrada numero 5 nei pressi di Baden Baden. L'auto, una Opel certamente rubata, viaggiava a velocità sostenuta ma non eccessiva in direzione del confine svizzero.
Il Centurione urlò un paio di ordini veloci:
-Precedenza assoluta. Non perderlo mai d'occhio. Aspettarlo a Freiburg con un paio di auto, ma non intervenire, soltanto stargli dietro. Lo blocchiamo al confine.
-Noi rimarremo qui in Centrale, vero? Chiese il Caposquadra, che dopo la notte in bianco non aveva tanta voglia di correre.
-Noi andiamo al confine con uno dei nostri veloci elicotteri ad organizzargli il ricevimento.

47. Lo spilungone fece una smorfia. Avevano superato la prima auto del Soccorso Stradale e se ne stavano al riparo quieti quieti dopo la 21. La Opel era davanti e non poteva più sfuggirgli. Ma lui aveva visto anche il primo motociclista della pattuglia dei Pretoriani, ed ora vedeva il secondo, un centinaio di metri dietro il ricercato. Viaggiavano sulla destra tranquilli, ma lo spilungone conosceva i loro metodi, un tempo era anche lui un Pretoriano prima che lo cacciassero per indegnità.
Sentì il rumore tipico di un elicottero e alzò gli occhi al cielo. L'elicottero sparì velocemente come era comparso; non aveva né numeri né insegne, ma lo spilungone sapeva che apparteneva ai Pretoriani.
-Dobbiamo agire prima che gli mettano le mani addosso gli altri, disse all'uomo con la tuta da meccanico e chiamò col radiotelefono l'equipaggio della 21.
-Fra quanti chilometri è la prossima area di parcheggio?
-Nove chilometri circa, gli risposero.
L'uomo che indossava la tuta da meccanico guardò il numero sul contachilometri progressivo e calcolò rapidamente.
-Da solo non entra nel parcheggio, disse. Pensi di obbligarcelo con la tua Beretta?
-Mai sentito parlare di incidenti stradali?
-Non sarai mica matto! Nessuno sa cosa può succedere a questa velocità.
-Dicono che sei il migliore: fammelo vedere.
-Accidenti a te! Cosa vuoi, qualcosa di altamente spettacolare?
-Basta una buona tamponata qualche centinaio di metri prima dell'area di parcheggio. Le macchine del Soccorso Stradale sono già qui, i Pretoriani anche, dov'è il tuo problema, amico?

48. Le prime tre settimane in galera restò in isolamento duro a rompersi la testa per cercare di capire chi lo aveva incastrato e perché. Non riusciva a darsi pace perché non riusciva a spiegarselo. Lui era un punto obbligato di passaggio. Era un ponte intermedio, un passa parola che andava bene a tutti, a chi vendeva e a chi comprava, perché così non si doveva esporre nessuno e i mammasantissima rimanevano al coperto.
Una posizione d'oro la sua: anche se le bande si facevano guerra tra di loro, anche se ne arrivavano nuove avrebbero sempre avuto bisogno di un passa parola sicuro, fidato, che non imbrogliava mai per fare i loro commerci.
Il vecchio don Pietro Scognamiglio gli aveva mandato il suo avvocato di fiducia, uno di quelli pesanti che contano assai, perché hanno conoscenze e appoggi anche in Paradiso e all'Inferno, ma nemmeno il grande avvocato sapeva niente di preciso, anzi si vedeva che non voleva immischiarsi troppo in quella porcheria.
-Chi ha fatto la spia non mi interessa, non è cosa che mi riguarda, diceva. Io devo tirarla fuori di qui con poca pena, come si dice.
Poi l'avevano messo in una cella insieme a quel giovanotto, che stava dentro per truffa aggravata. All'inizio Gegè pensava che fosse una spia e a malapena ci scambiava due parole, ma poi c'era entrato in confidenza perché si era accorto che era un tipo a modo, che badava ai fatti propri e non faceva mai domande.

49. Guardò l'elicottero che scompariva velocemente. Diede un'occhiata agli specchietti poi inquadrare bene la situazione.
-I Pretoriani ci aspettano alla frontiera, le disse, questo è ormai chiaro; ma i nostri amici qui dietro cercheranno di abbordarci prima, e anche questo è chiarissimo.
Fece una pausa stringendo le labbra.
-Non ce la faremo mai, disse la ragazza. Siamo spacciati, non è vero?
Non le rispose, continuò a serrare le labbra.
-Appena arresto la macchina buttati fuori e scappa senza voltarti. Cercarti un nascondiglio e restaci. Questa notte vengo a riprenderti.
-Verrai? Sei proprio sicuro?
-Vengo a riprenderti stanotte, ti ho detto.

50. Appena il Centurione sbarcò dall'elicottero dette un'occhiata alle sue forze. Il pesce è nella rete, pensò, e per gli altri ho in mente uno scherzetto niente male se sono tanto stupidi di arrivare fin qui.
Il Caposquadra gli si avvicinò.
-Le staffette motociclistiche comunicano che le autopattuglie si sono agganciate. La situazione è totalmente sotto nostro controllo. Fra quindici minuti li vedremo arrivare.
-Torna al Centro Radio e mantieniti in contatto costante con gli equipaggi.
Rimasto solo il Centurione si accese una sigaretta. Era molto inquieto. All'improvviso gli sembrava tutto troppo facile. Può darsi che il fuggiasco non veda altra scelta, pensò, meglio noi di quella gente; ma gli altri che aspettano? A meno che non vogliano proprio che noi lo riportiamo in galera. Dopo tanti anni che faccio questo mestiere non ho ancora capito come ragionano quei bastardi.
Il Caposquadra si precipitò fuori dal Centro Radio gesticolando.
-C'è stato un incidente vicino alla stazione di servizio della ESSO.
-Che diavolo di incidente? Chiese, ma già stava sudando freddo.
-Comunicazioni contrastanti. Comunque è stato sparato e ci sono dei morti.
-È rimasto coinvolto qualcuno dei nostri?
-Sembra che uno dei motociclisti sia molto grave.
Il Centurione bestemmiò sputando per terra e si avviò all'elicottero seguito dal Caposquadra.

51. Gegè guardò l'orologio. Anche questa è una cosa strana, pensò. Era stato a colloquio col suo avvocato e quando era rientrato il suo compagno non era in cella. Quelli sotto inchiesta come loro non potevano rimanere fuori dalla cella a quell'ora. Era possibile che avesse ricevuto una visita particolare, sennò che poteva essere successo? Il Giudice ti manda a chiamare di mattina per l'interrogatorio; quando vengono gli avvocati ti avvisano il giorno prima. Era proprio una cosa molto strana, pensò.
Si alzò dalla branda e andò a guardare nell'armadietto. Si diede dello stupido. Cosa diavolo gli era venuto in testa, accidenti! Si capisce che lo avranno mandato a chiamare per qualcosa di urgente, la sua roba era tutta lì dentro.
In quel momento una guardia girò la chiave nelle serratura. Gegè si voltò verso la porta e incrociò le braccia sul petto come fa una persona di rispetto quando aspetta una spiegazione da un ragazzino.
La porta si socchiuse di un palmo, ma non entrò nessuno: qualcuno però buttò dentro un oggetto che rotolò rumorosamente fin sotto la finestra. Richiusero la porta con la chiave.
Senza muoversi dal suo posto Gegè riconobbe la bomba a mano di fabbricazione polacca. Non dà scampo, pensò.
-Ha tutta l'aria di una sentenza di morte, disse a voce alta. Ma chi l'ha pronunciata? E perché?

52. L'uomo che indossava la tuta da meccanico vomitò più di una volta. Cristo! Non aveva mai visto una cosa del genere. Diede un'ultima occhiata allo spilungone sdraiato a pancia all'aria nella cunetta con un buco in mezzo agli occhi, e abbandonò i rottami della Porsche correndo verso la 25 che sembrava intatta. La 21 invece bruciava in mezzo alla strada.
Il capo macchina della 25 singhiozzava come un bambino.
-Tirati in là! Gli disse l'uomo con la tuta da meccanico cercando di spingerlo all'interno della vettura, ma quello sembrava di cemento.
-Tirati in là, pezzo di merda! Dobbiamo sparire di qui.
-Aveva venti anni, singhiozzò il capo macchina.
-Chi aveva venti anni?
-L'autista era mio nipote e aveva venti anni, rispose l'altro fissando il rogo della 21.
-Mi dispiace, disse l'uomo con la tuta da meccanico, ma non possiamo fargli più niente.
Spinse con violenza il capo macchina sui sedili posteriori e diede uno schiaffo all'autista anche lui più morto che vivo.
-Vola via di qui, ché già sento sirene.

53. Il Proconsole arrivò col suo elicottero privato insieme al Giudice Istruttore e a un Centurione anziano. Prese subito in mano la situazione dando a ciascuno incarichi semplici e precisi. Sapeva per esperienza che gli uomini in quelle circostanze si innervosiscono per un nonnulla, quindi, una volta dati gli ordini giusti, lasciò che ognuno li eseguisse come meglio riteneva. Doveva essere la vista del sangue che eccitava gli animi e lì di sangue ce n'era una quantità enorme. Anche a lui, malgrado tutti gli anni passati in servizio, ancora adesso l'odore e la vista del sangue facevano venire crampi allo stomaco.
Al Giudice Istruttore era bastata un'occhiata per decidere di rimanere a bordo dell'elicottero. Il Proconsole invece esaminò a lungo quel cadavere nudo cui erano stati mozzati la testa, le mani e i piedi.
-Mostruoso, non è vero? Esclamò il Centurione anziano.
-Chissà che vorrà significare? Si chiese il Proconsole assorto.
-Si tratta di una sorta di linguaggio cifrato, rispose il Centurione anziano, in modo che gli altri capiscano e si regolino in futuro. Tipico della malavita organizzata.
-No, no! Disse il Proconsole. Intendevo i piedi. Non capisco cosa c'entrano i piedi, perché tagliare via anche quelli?
-Forse per sfregio. Lasciare un cadavere dopo avergli mozzato testa, mani e piedi significa lasciare un corpo anonimo senza identità, quasi per dirgli: non hai la testa e non puoi né vedere né parlare, non puoi far niente senza le mani e non ti puoi muovere senza i piedi; sei come una mala pianta strappata via.
-Insomma come per dirgli che non valeva più niente, lo interruppe il Proconsole, tanto che non gli si può dare neppure un nome adesso che è morto.
-Ma noi sappiamo che era il ricercato, obiettò il Centurione anziano.
-Sappiamo solo che è un cadavere di sesso maschile. Ufficialmente non possiamo identificarlo: manca la testa, quindi niente identificazione a vista né calco dentario; mancano le mani quindi niente identificazione delle impronte digitali; i piedi e non possiamo verificare la menomazione che aveva, gli mancava infatti l'alluce del piede sinistro e forse è proprio questo che volevano ottenere, che cioè rimanesse il dubbio che fosse ancora vivo. Comunque questo è un problema del Giudice, non nostro.
Guardò lo spilungone nel fosso.
-Questo lo conoscevo bene: era Caposquadra alla Centrale Operativa. Ci ha lavorato per molti anni. Aveva però troppi vizi e i soldi non gli bastavano mai, così li rubava.
Il Proconsole si avviò all'elicottero.
-Abbiamo finito qui, disse al Giudice, ce ne torniamo a casa.
-Nessuna traccia della donna? Chiese il Giudice.
-Mi avrebbe sorpreso che avessimo trovato qui anche lei, replicò il Proconsole. Secondo me la donna era d'accordo fin dall'inizio con gli inseguitori, per questo non lo hanno mai perso di vista. Non vedo altrimenti come una donna si sarebbe potuta salvare in questo massacro.
-Lo penso anch'io, si affrettò a dire il Giudice abbottonandosi il cappotto. Per lui la storia era conclusa.
-Abbiamo un morto, aggiunse il Proconsole prendendo posto accanto a lui. Uno dei due motociclisti.
-Disdicevole! Esclamò il Giudice Istruttore.Terribilmente disdicevole, e scosse la testa.
Il Proconsole dette un ultimo sguardo circolare alla scena. I Pretoriani avrebbero riattivato il traffico in un paio d'ore, una volta portati via i relitti coi carri attrezzi, e i morti col carro funebre.
Si tirò su il bavero del cappotto mentre il pilota avviava il motore.
È stata un'idea magnifica, disse tra sé il Proconsole, lasciare evadere quell'uomo.


9 commenti:

  1. Miseria alla lunghezza, se mi viene un attacco di cervicale è colpa tua.
    Un racconto avvincente, anche se mi disturbano gli stacchi cronologici troppo ravvicinati, ma quella è un'antipatia personale.
    Pur non essendo il mio genere direi che la prova è venuta bene: anzi, PROPRIO per il fatto che ha catturato la mia attenzione pur non essendo il mio genere, oserei dire che il racconto ha nel suo piccolo tutto il fascino di un romanzo ...
    Oltre che il fascino della tua bella penna, ovviamente, e scusa se è poco.
    C'è solo una frase che mi stride come gesso su lavagna, è la prima, del post precedente. Mi ero dimenticata di scrivertelo, l'altra volta.
    Ciao yedi, alla prossima!

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  2. Però non ho capito una cosa: che ci hanno guadagnato i "pretoriani" dall'evasione?
    un regolamento di conti, okay, ma che gliene fregava di farne crepare un paio, se poi ci hanno rimesso un uomo anche loro?

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  3. Oh giubilo! Sei arrivata alla fine! Ce l'ho fatta a inchiodarti su un mio testo. È la musica migliore che possa essere suonata alle orecchie di uno scrittore. Grazie.
    Riguardo lo stridore, questo testo è stato scritto qualche annetto fa, ero più giovane e ti posso garantire che due giorni con una bella femmina (sul testo originale "bella f...")passavano in fretta.

    IL testo è un contesto, te l'ho già spiegato. Entra in una storia -o dovrebbe, se ce la faccio- dove i Pretoriani avranno modo di dimostrare cosa ci hanno guadagnato.
    Vedremo.
    Tutto chiaro spero, di più non si dice mai.
    Non si parla di una storia che non è stata ancora del tutto scritta, non porta bene.
    Ciao.

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  4. Non era quella, la frase incriminata, bensì:
    1. Non avrebbero potuto mai scoprire la sua fuga prima che fosse lontano.
    :))

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  5. Ammazza! Sei sottilissima come la cruna di un ago. Complimenti.
    Però non è del tutto sbagliato, pensaci bene. Lui sta pensando: Adesso sono evaso dal carcere, debbo però allontanarmi il più possibile, prima che si accorgano della mia evasione.
    Lontano da lì, insomma. Io lo trovo plausibile, ma mi complimento col tuo senso critico; anche se ad altri potrebbe sembrare pignoleria, a me sembra "attenta lettura", che è quello che io e tutti gli scrittori chiediamo ai nostri lettori.

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  6. Secondo me c'è qualcosa di lontanamente apparentabile con Martedì dopo l'autunno. Dall'uno e dall'altro (anche se questo è solo un assaggio) sento che si potrebbe benissimo ricavare un film...

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  7. Lo considero un grande complimento. Questo pezzo nasce molto tempo prima di Martedì, ma in effetti è stato pensato quasi come copione di un film.
    Tu sai però quanto sia difficile in Italia trovare un regista e un produttore. Mi sarei contentato di trovare una casa editrice.
    Speriamo bene.
    Ciao, amico mio.

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  8. Un salutone amico Enzo. :)))

    Ciao. :D

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