giovedì 5 aprile 2012

COME UCCIDERE UNA NEMICA

-Non vuole leggere le domande? Lo fanno tutti.
-Preferisco di no, ci rimetterebbe la spontaneità.
-Guardi che andiamo in diretta, non si può tagliare niente. Vuole ripensarci?
-Va bene così: lei mi fa le domande e io rispondo.
Dopo venticinque minuti dove la giornalista leggeva da una scaletta e l'intervistato rispondeva a braccio, arrivò l'ultima domanda: 
-Dove trova le trame dei suoi romanzi, con intrecci così complicati e suggestivi?
-Le trame me le sogno.
-Cosa?
-Mi vengono in sogno.
-È incredibile.
-Eppure è così. Fin da piccolo sognavo storie complicate, sogni a colori, bellissimi. Appena svegliato prendevo un quaderno e mi scrivevo il sogno. Così sono nati i miei primi racconti. Poi ho continuato a sognare e a trascrivere i miei sogni. Anche adesso è questo il mio metodo creativo.
-Vuol farmi credere che anche il suo più recente bestseller, "Ultima uscita per Calcutta", così complicato e con tantissimi personaggi lei lo abbia sognato in una notte?
-Non in una notte, in tante notti successive.
-Sempre lo stesso sogno?
-È un'altra mia caratteristica: sognare a rate, sempre a colori vivacissimi.
L'intervista terminò, ma la giornalista aveva il naso arricciato.
-Io gliela passo per buona, come un vezzo d'artista.
Ma non se lo era inventato per capriccio: Ino Pocai sognava le trame dei suoi romanzi.
-Quasi ogni notte mi tengono vivo i miei sogni colorati, aveva aggiunto fuori onda alla sua intervistatrice.

Non gli fu facile uscire dal parcheggio degli studi televisivi. Mentre si immetteva faticosamente nel traffico gli vibrò in una tasca il cellulare. Introdusse l'auricolare in un orecchio e aprì il contatto.
-Dimmi.
-Intelligenti le domande.
Poteva immaginarsela Gianna, sdraiata sul divano con le gambe accavallate e il sorriso misterioso della Gioconda in viso.
-E le risposte?
-Un po' meno.
Come aveva previsto.
-Cosa non ti è piaciuto?
-Potevi far a meno di raccontare la storia dei tuoi sogni in tecnicolor. La bella roscia non ha creduto una parola e il tuo pubblico, i tuoi amatissimi lettori, forse anche meno.
-Ho detto la verità, e tu lo sai.
-Io so quello che mi racconti tu. Te lo dico sempre: tu parli troppo, dovresti limitarti a scrivere.
Lei chiuse il contatto e lui rimase col fiele in bocca.
La solita Gianna di tutti i giorni, acre e repulsiva come un polo elettrico dello stesso segno.
Diede un colpo all'acceleratore che lo portò quasi a investire l'auto che lo precedeva. Chiese scusa con un gesto della mano. 
Non sarebbe mai venuto a capo di quella situazione: Gianna era ormai diventata un ostacolo insormontabile e la colpa era esclusivamente sua, per averle dato troppa importanza. A sua moglie interessava poco quello che lui scriveva, forse perché non ci capiva un'acca, ma lui l'aveva sempre consultata lasciandola sproloquiare per mezza giornata. Serviva a tenerla buona, si diceva, a farla sentire partecipe, a non intristirla in un isolamento intellettuale; ma lei non aveva le physique du rôle, e magari non era troppo intelligente come sempre Ino si era ostinato a credere, forse per convincere se stesso della felice scelta fatta e per non rassegnarsi all'idea di essersi portato in casa una nemica.
A casa un bacio di sfuggita, poche parole a cena, un programma musicale alla TV e niente altro.
Quella notte Ino sognò di alzarsi dal letto e di camminare per le stanze a piedi nudi in cerca di qualcosa. Non aveva idea di cosa fosse, ma aveva il sentore di un evento. 
In un istante, come accade nei sogni, dal buio estremo esplose la luce coi colori vivaci della loro cucina. 
A terra giaceva Gianna, immersa in una pozza di sangue senza confini, sgozzata da un coltello, lo stesso che teneva adesso lui con le sue mani lorde del sangue di sua moglie.
In quella fantasmagoria di colori luminosi gli accecava gli occhi il rubino violento del sangue allargato sull'ocra delle mattonelle. Poi il suono blu delle sirene della polizia gli lacerò le orecchie fino a svegliarlo.
Il respiro di Gianna accanto a lui era fievole e cadenzato.
Ino lasciò la stanza in punta di piedi riparando in bagno. Fissò il suo volto magro nello specchio.
Come idea non valeva niente, pensò: nessuno ammazza la moglie sbrodandosi del suo sangue, almeno non in un romanzo di uno scrittore capace.
Aprì comunque nel suo portatile una nuova cartellina per trascrivervi l'ultimo suo sogno; non si poteva mai sapere.
Per titolo scrisse: "come ammazzare una donna". Rimase un attimo assorto, poi cancellò "donna" e scrisse "signora".
Riassunse il sogno assai brevemente e chiuse la cartella. Ma non si decideva a togliere il programma. Aprì di nuovo la cartella e cambiò il titolo. "Come uccidere una nemica". Adesso gli suonava bene, poteva tornarsene a dormire.

Rientrato a casa per il pranzo trovò sulla tavola al posto delle stoviglie una serie di quotidiani. Stravaccata sul divano Gianna teneva in mano una copia del Corriere della sera.
-Ecco la recensione che mancava, quella del tuo grande amico.
-Che scrive?
-Cose fantastiche! Tanto per cominciare: "le descrizioni dei paesaggi sono assolutamente inverosimili". Ancora: "alcuni personaggi sono strapazzati, altri messi lì a caso; quelli del vescovo luterano e di sua moglie non sono affatto credibili, ma buttati giù con la zappa". Bell'amico!
-Strano. Gli telefonerò dopo mangiato.
-Lascia perdere. È tutta colpa di quella tua fantastica intervista alla TV. Leggi cosa ne scrivono sui giornali. Sei su tutte le terze pagine: il sognatore favoloso. Una bella figura di merda hai fatto alla TV, mio caro.

Alla notte Ino sognò Gianna affossata nella sabbia di un'isola tropicale. Enormi granchi dalla corazza rosso fuoco la attaccavano al collo con gigantesche chele.
Trascrisse tutto nella cartella perché c'era qualcosa di fresco e di originale nei granchi aggressori.
La notte successiva sognò una serie di topi morti, che teneva in una cella a temperatura costante per produrre cadaverina e putrescina. 
Non capiva bene il senso di quella coltura biochimica, ma trascrisse anche i topi nella cartellina del suo portatile. La notte dopo gli fu chiaro il significato: a piccolissime dosi nel caffè quelle due sostanze non davano cattivo sapore ed erano un veleno mortale e introvabile per gli esperti, dal momento che si formano in ogni cadavere dopo poche ore.
Decise di sopprimere la cartellina: il gusto era diventato eccessivamente macabro.
Per alcune settimane non sognò più nulla, né a colori né in bianco e nero.

Un sabato mattina si alzò presto e preparò la colazione per due: toast, burro, marmellata di albicocche e caffè nero poco zuccherato, come lo beveva Gianna. Mise tutto in un vassoio e lo depose sul lettone dove Gianna ancora dormiva.
Tirò giù le tapparelle a metà e lei aprì gli occhi. Annusò subito il buon odore del caffè. Sollevò la testa e vide il vassoio ricolmo.
-Che bravo! L'unica volta che lo hai fatto eravamo sposati da tre giorni.
-Voglio farlo adesso tutte le mattine. Sei contenta?
-Contentissima, direi. Così si comportano i bravi mariti.

13 commenti:

  1. Ecco perchè mio marito la domenica mattina insiste per portarmi la colazione a letto!!
    (Io per fortuna ho sempre risposto no grazie, perchè è una cosa che odio)
    Raccontino scorrevole, si lascia leggere, però non credi che l'avvelenamento sia una strategia più femminile -alla lucrezia- che maschile?
    Gli uomini preferiscono metodi più diretti, come il classico machete.

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  2. Certo: i bulli, i cretini e gli incapaci.
    Ammesso che la tua lettura sia quella giusta -chi ti vieta di pensare che sogno e realtà non siano a braccetto e che si tratti di pura coincidenza? In fondo il raccontino nasce su questo equivoco- perché voi donne pensate al maschio violento e con la bava alla bocca? Perché solo così sareste sempre in grado di dominarlo; mentre invece il subdolo, il capace di pensare a largo raggio e lungo termine, quello che sa fare uso delle "strategie più femminili", sarebbe in grado di tenervi testa, usando le stesse vostre astuzie e modus pensandi?
    Mi sbaglio?
    Tu comunque continua a rifiutare il caffè a letto alla domenica mattina.:))

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    1. Quindi ho cannato again. Okay, tanto ci ho fatto il callo :)
      Hai giocato a mischiare sogno e realtà, lasciando che sia il lettore a decidere se il finale sia questo o quello.
      Mi ricorda il libro di Kundera che ho letto in questi giorni, l'identità, dove al posto dell'attività onirica c'è l'immaginazione, una sua cugina. Anche in questo libro l'autore lascia la scelta del finale al lettore.
      Bè, che ti devo dì, a me questo stratagemma non piace! :)

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    2. "La vita è sogno", se non sbaglio è il titolo di una commedia di Calderon de la Barca.
      Dove inizia la vita e dove finisce l'immaginazione e viceversa?
      Non lascio il lettore "decidere se il finale sia questo o quello", ma lo lascio libero di scegliersi il suo, è leggermente diverso.
      È come quando dipingi un quadro astratto, dove TU PITTORE vedi qualcosa che solo tu puoi immaginare, mentre tutti coloro che lo guardano vedono il LORO quadro, la LORO verità.
      E tutte sono giuste, artisticamente parlando.
      Come un quadro, che può piacere o non piacere, un racconto deve suscitare emozioni. Se lo fa il racconto è riuscito, il quadro è riuscito, se lascia indifferenti meglio distruggere il quadro e cestinare il racconto.
      Produrre emozioni e dispute ideologiche o letterarie o artistiche, questo è sempre stato il mio sogno.
      Sogno, e come vedi anche realtà.:))

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    3. Dimenticavo: non ti piacciono certi stratagemmi, come "mischiare sogno e realtà". Posso dire che forse non ti piacciono "i miei finali"?.
      Non ti è piaciuto l'omicidio di Christine; non ti è piaciuta la morte per sincope di Matteo Jervolo; non ti piace se il sogno non si differenzia dalla realtà.
      Ma questa nostra vita è bella perché variegata. Non tutte le cose sono o bianche o nere, esiste un'immensa gamma di colori e toni.
      Io, forse perché pittore, prediligo i colori al bianco-nero.
      Anche perché sono i colori sociali degli odiati juventini:)))

      PS. NOn si dice "che ti devo dì", bensì "che te devo da dì". Ciao:)))

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    4. ma io non VOGLIO scegliermi il finale!
      se mi devo scegliere il finale mi scelgo anche l'iniziale e allora tanto vale che il libro me lo scriva io!
      Io voglio leggere un finale chiaro, non indeciso, non sospeso nel limbo, voglio che l'autore abbia il coraggio di andare fino in fondo e lasciarmi poi scegliere -QUESTO SI!- se quel finale mi piaccia o no!
      Questo non mi toglie niente a livello di immaginazione, pensiero, emozioni, e queste cose saranno il MIo libro, o meglio, il libro come lo vedo io, (per seguire il tuo paragone con la visione di un dipinto)
      Questo è il mio "che te devo da dì"- pensiero :))

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    5. Allora chiariamo una volta per tutte: io i miei libri li penso nella mia testa, in essa li compongo e modifico e quel che scrivo "dall'incipit alla fine" è mio, frutto del mio ingegno, buono o cattivo che sia.
      Questo per quanto attiene a un romanzo, cioè una storia complessa e variegata, dove sono io, in quanto autore, a decidere come fare finire la mia storia. Che poi ci sia qualcuno o molti ai quali la storia o il finale rimanga indigesto, rientra nella logica del fatto che non tutti siamo uguali e i gusti sono vivaddio diversi.
      Trattandosi di un raccontino-ino-ino-ino che aveva la sua genesi e basava il suo sviluppo sull'equivoco sogno oppure realtà, ho lasciato il finale "aperto" per così dire.
      Un piccolo divertissement e niente più.
      In fin dei conti il protagonista, Ino Pocai, sono io, dato che si tratta del mio cognome scritto alla rovescia.
      Questo è quello che me veniva da risponnete senza acciaccatte li calli.:))

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    6. In effetti mi ero chiesta: ma dove cazzarola va a pescare i nomi quello?
      Io non parlavo del tuo ino-ino, ma semplicemente della mia allergia ai finali aperti :)

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    7. Bene, mi rallegro: allora la tua allergia non riguarda il finale di "MartedÌ", tanto meno quello di "Francoforte", che aperti assolutamente non sono. Solo indigesti, ma quante cose sono digeribili in questa vita del cavolozzo fritto?:))

      Veramente non ti eri accorta che Ino Pocai era il mio cognome specularmente scritto? Da non credere! Tu che trovi le cacatine di un moschino!:))

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  3. eheh... il caffè finale era alla cadaverina e putrescina, vero?... occhio però con le cancellazioni: le tracce nel pc rimangono lo stesso! :-))

    La prima parte affronta anche molto bene il misterioso tema dell'ispirazione. Simpatica idea questo Ino Pocai, Iacoponi scritto alla rovescia...

    Un abbraccio, caro amico.

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    1. Se di delitto alla fine si trattasse, si potrebbe fare in modo di...dimenticare il cadavere per un paio di giorni, che so partendo per un viaggio improvviso, e ben organizzato, all'estero. Quelle 48 ore sarebbero sufficienti alla produzione naturale delle sostanze somministrate, precludendo agli inquirenti curiosi qualsiasi prova. Si potrebbe fare, dico io.
      Per le tracce sul disco fisso del PC ci si potrebbe difendere parlando di appunti di artista! :))

      Sì, quello dell'ispirazione è veramente un mistero. Sapevo che non ti avrei infinocchiato col nome scritto alla leonardesca...:))

      Ricambio l'abbraccio, amico mio.

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  4. Ciao caro Vincenzo, mi è piaciuto molto questo racconto.
    Il finale in effetti ti lascia con qualcosa di sospeso e non risolto, forse perchè l'equivoco e il non sapere non è sempre così facile da gestire.
    Una cosa comunque per me è certa: qualunque sia la verità, in tutti i casi secondo me lo scrittore Ino soffrirà sempre di un complesso di inferiorità nei confronti della moglie Gianna.
    Non sei d'accordo?
    Un abbraccio scherzoso
    Teresa

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    1. Il "sospeso e non risolto", l'equivoco cioè è volutamente cercato. A me piace lasciare il lettore col dubbio, dandogli la possibilità di sceglierselo da solo il "suo" finale.
      Sei bravina, Teresa -oppure hai un marito succubo di te che ti ha facilitato l'analisi- ma in verità lo scrittore Ino sogna inconsciamente (quanto?) di sopprimere la moglie per colpa di quel complesso, che gli fa opinare, tra l'altro, che Gianna non sia sufficientemente intelligente per arrivare alla sua altezza.
      Complimenti e ricambio l'abbraccio scherzoso.

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