mercoledì 29 dicembre 2010

IL CUGINO ADOTTIVO ECCETERA SETTIMA PUNTATA

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Nei due anni che seguirono John Cally Filiput dovette inventarsi una vita nuova, perché si era accorto che il tempo per lui scorreva in modo diverso, più lentamente e comunque gli sembrava di ringiovanire giorno dopo giorno e non di invecchiare.
Non si era più potuto presentare al suo vecchio posto di lavoro ai Mercati Generali perché non sapeva come giustificare ai vecchi colleghi la sua metamorfosi. Cambiò città, andò prima ad abitare a Wiesbaden, poi a Francoforte dove trovò lavoro come magazziniere in una ditta di lavorazione delle pelli: tutto il giorno a impaccare borse, borsette, cinghie e valige. La figlia del padrone era una ragazza sveglia e molto carina. Teneva la contabilità in un ufficio del secondo piano, e le bastava affacciarsi alla finestra che dava sul cortile interno per chiamare tutti gli operai che voleva; però chiamava soltanto "Johnny" da quando era arrivato lui.
Allora John Cally scendeva la sua rampa di scale, attraversava il cortile e saliva i dodici gradini delle scale degli uffici fino al secondo piano. Lei lo faceva sedere, gli offriva caffè o the a seconda dell'ora, qualche volta anche dei biscotti; poi si metteva a parlargli di qualsiasi argomento senza preferenze, naturalmente in inglese per esercitarsi in quella lingua, gli diceva; ma a lei interessava poco in che lingua parlare, voleva solo che lui si soffermasse nel suo ufficio. Alla fine, quasi per giustificare il tempo che gli aveva portato via, si decideva a commissionargli un paio di sciocchezze, le prime che le saltavano in mente, e lui se ne poteva ritornare alle sue occupazioni tra gli ammiccamenti e i sorrisetti degli altri operai. Lo avevano capito tutti che la giovane e graziosa Anette aveva preso una bella cotta per lui, ma la ragazza viveva insieme con un tedescone alto e segaligno dai capelli rossi come i baffi che gli spiovevano sulla bocca, che sembrava geloso anche delle ombre. Per questo John Cally Filiput non volle farsi illusioni, ma si sforzò di pensare che Anette fosse soltanto curiosa. Glielo aveva pur detto più di una volta: non riusciva a capacitarsi di come un quarantenne potesse essere così asciutto e senza rughe, con tanti capelli in testa e muscoli così sodi; insomma che lui dimostrasse poco più di ventitré o ventiquattro anni (venticinque, gli veniva subito di pensare, proprio gli anni che teneva a Ypres; ma di questo non aveva mai fatto parola con nessuno e nessuno immaginava che lui avesse combattuto nella Grande Guerra).
Curiosità femminile, concluse: d'altra parte se ci è andata a vivere insieme dovrà pur piacerle il suo spilungone roscio.
Ma una mattina Anette lo chiamò per pregarlo di andare col Magirus-Deutz, una motrice da 80 quintali, fino a casa sua in un paesetto dall'altra parte del Meno per caricare dei bauli.
-Chiamo un paio di uomini, disse John Cally Filiput.
-Non c'è bisogno di nessuno. Franz Joseph sta già aspettando, rispose lei; la aiuterà lui.
E così John Cally partì col camion seguendo la Benz 170 grigia e nera della ragazza.
Lei se lo perse due volte e dovette fermarsi perché lui la raggiungesse. La seconda volta scese dalla sua elegante vettura per chiedergli:
-Ha qualche problema col camion?
-Questo camion va a nafta e non a benzina, rispose lui piccato; e poi le marce non sono sincronizzate come sulla sua berlina.
Dal tono della voce lei capì che "Johnny" era molto adirato; non doveva commettere con lui gli stessi errori fatti con Franz Joseph, un uomo non va mai umiliato. Gli chiese scusa e si adattò a trottargli davanti al muso del Magirus-Deutz e non più a galoppare.
Franz Joseph il rosso li aspettava all'ingresso della piccola villa vestito come per andare alla funzione religiosa della domenica. John Cally Filiput entrò nel cortile a marcia indietro, sganciò e ribaltò la sponda posteriore e salì insieme al rosso i pochi gradini della veranda. I bauli erano già belli e pronti, allineati gli uni accanto agli altri, di grandezza media e non troppo pesanti.
Mezzi vuoti, pensò John Cally per via di una acquisita consuetudine alla constatazione statistica. Erano destinati a due persone ma la metà mancava. Quindi il tizio sta partendo, concluse e si sentì più allegro e i bauli gli sembrarono ancora più leggeri.
Dovette aiutare a caricare anche una poltrona di pelle, un paralume coloratissimo e una bassa commode di stile francese.
Sbaraccato, pensò John Cally e assistette tranquillamente al freddo commiato dei due: una stretta di mano come tra due vecchi camerati. Poi Anette chiuse la veranda e il cancello con le chiavi che il rosso Franz Joseph le aveva restituite e si avviò alla sua Benz. Mise in moto e scomparve.
L'uomo dal pelo rosso disse a John Cally Filiput di seguirlo. Aveva un piccolo cabriolet di fabbricazione inglese che guidava molto lentamente. Riattraversarono il ponte sul Meno, poi tutta Francoforte e arrivarono nella Nordweststadt nel quartiere di Heddernheim, in una viuzza nei pressi di un parco alberato.
-Bello qui, provò a dire John Cally Filiput; ma l'altro non voleva attaccare discorso. A lavoro ultimato gli mise una banconota in mano con freddezza.
-Veramente bello qui, esclamò di nuovo John Cally senza nemmeno ringraziare; meglio che dall'altra parte, aggiunse ridacchiando, tanto non doveva più alcun rispetto per il perticone defenestrato.
Anette era sparita anche lei e a John Cally non andava di agitare le acque con domande inopportune. Risolse tutto Adriana, la cuoca napoletana tuttofare, che furba come una volpe da un pezzo aveva capito tutto; ci pensò lei a togliergli l'ansia di dosso.
-Fräulein Anette si è presa una settimana di ferie per riprendersi dallo stress della separazione. Vedrai che quando ritorna sarà freschissima e piena di nuova voglia di vivere e di fare all'amore.
Era appena tornata infatti che lo pregò di andare a casa sua a sistemarle una stanza, che era poi quella usata da Franz Joseph come ufficio. John Cally gliela imbiancò e tappezzò in un fine settimana. Lei cucinò per lui in modo irresponsabile e indecente, e capì in quel momento che il bell'italo americano aveva un palato molto più fine del suo ex, e che pertanto si sarebbe dovuta procurare un ottimo libro di cucina.
Quando tre settimane dopo lui trasferì i suoi bagagli in quella bella dimora Anette volle cucinare la prima cena tutta da sola, lasciandolo in grave imbarazzo: non erano ancora mai stati a letto insieme, e John Cally temeva che quel pasto gli avrebbe rovinato la prima notte d'amore. Lo temeva fino a quando assaggiò il primo boccone di lasagne: assolutamente eccellenti.
-Incredibile, esclamò. Come hai imparato?
-Mi sono fatta aiutare da Adriana; l'ho trascinata qui tutte le sere e adesso credo di potermela cavare anche con piatti complicati.
Aveva ragione: John Cally Filiput sapeva che le lasagne erano un piatto molto complicato, e quelle che stava mangiando erano squisite.
Il risultato della notte d'amore fu ancora più brillante a suo giudizio. Mai provato niente di simile, gli avrebbe risposto Fräulein Anette se lui l'avesse interrogata in merito, ma non aveva bisogno di farlo: sapeva che dall'ultimo incontro con Kurt Marx nell'ospedale di Mainz tutto era migliorato, ringiovanito e rinvigorito, proprio tutto.
Iniziò in modo così eccellente il periodo più bello della vita di John Cally Filiput, ma durò solamente poco più di un anno e mezzo.

4 commenti:

  1. Che ti credevi, amico mio, che mi fossi arreso? Stasera tour de force per riportarmi in pari con gli ultimi tre capitoli. Insisto a dire che forse corri un po' troppo, però ne è valsa la pena. Ottima storia. Scritta da dio. Con piglio professionale. Sembra materiale già editato. Anche se, per una volta, devo essere d'accordo con Silvia: i primi cinque capitoli sono di livello superiore a quanto segue, non tanto per l'apparire dell'angelo custode o quel che diavolo sia, ma proprio perché la prima parte della storia è di livello talmente alto, riesce talmente a mantenersi in equilibrio fra individuale avventura di guerra e d'amicizia e tragedia storica mondiale, è talmente di largo ma ben sincronizzato respiro, che poi un piccolo scadimento è quasi inevitabile. Ora sono curioso di assistere al riprender quota del racconto. Però, mi raccomando: capitoli brevissimi se quotidiani, oppure uno ogni tre-quattro giorni.
    Per intanto Buon Anno in anticipo, caro amico e collega. E sappi che le mie parole non sono adulatorie: fossi un editore, magari esprimerei qualche piccola critica o riserva o proposta di ristesura, ma un precontrattino comincerei davvero a prepararlo...
    Ciao, e buonanotte!

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  2. Nik, l'avevo avuta anche io quando l'ho scritto sto racconto l'idea di farlo finire dopo la Grande Guerra. Ci ho pensato, ma avevo un'altra idea cui correvo dietro; il gomitolo si era srotolato in una serie di boschi e boschetti e mi portava sempre ad una conclusione. Ho deciso di seguire il corso del filo e di riannodarlo ogni volta e rilanciarlo in avanti.
    Alla fine ne è risultata una storia più vicina ai miei gusti. Voglio dire: se avessi fatto finire lì dove Silvia voleva, e anche tu consigli in un certo modo, sarebbe stato come interrompere l'Aida alla fine del secondo atto, con la marcia trionfale.
    Il ritmo doveva calare perché diventava vita normale, non vita da trincea, bellica, martellante come le cannonate. A me piace adeguare il ritmo alle vicissitudini umane della storia. Spesso ci riesco, qualche volta no. Lo sentirei come un sopruso nei confronti di me stesso se ci riuscissi sempre.
    Grazie degli auguri, che ricambio con affetto. Ciao, alla prossima.

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  3. .. eccomi pronta, col cestino da pic nic, a seguire il tuo filo di arianna tra boschi e boschetti, senza più dire e poi e senza più scambiare puntate intermedie per finali.
    Una curiosità: come t'è venuto il nome John Cally Filiput? E' carino, adatto a un personaggio come il tuo, la cui età torna indietro, alla Benjamin Button.
    Trovo che la scelta del nome non sia mai una banalità, deve suonare bene.

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  4. Vuoi proprio saperlo?
    Pensavo al nonno Giovanni Calogero, da cui John Cally, spero che si possa dire, ma mi è piaciuto subito. Filiput mi è uscito dalla penna, come si dice e non l'ho più cambiato. A ripensarci c'era un campione di atletica, 400 metri ad ostacoli, che si chiamava così, più o meno negli anni in cui tu e tua sorella vi litigavate il bambolotto negro. Ma non credo che mi abbia suggerito un granché. Penso piuttosto ad una coincidenza. Se aspetti la prossima capirai però perché l'ho lasciato.
    Adesso voglio soddisfare un tuo desiderio non espresso, ma certamente formulato: sai come è cominciato tutto? Voglio dire come ho iniziato a pensare a questo racconto?
    Avevo un quaderno tra le mani e una penna a disposizione. Ho scritto questa frase:
    "Senza sapersene dare una ragione dall'inizio di quell'anno faceva tutte le sue cose di corsa, e poiché era molto veloce ma piuttosto maldestro J.K.F. cadde tre volte prima ancora che arrivasse la Pasqua."
    Sono rimasto tre giorni -o quattro, o cinque- a ruminare che cavolo fritto volessi dire, cercando di vedere il resto dell'iceberg, poi l'ho visto.
    Allora ho scritto il racconto in due giorni.
    Sssssst! Non lo rivelare a nessuno. È un segreto.

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