mercoledì 22 dicembre 2010

URGE UNA NUOVA SERIE

Penso che dopo tanta poesia un racconto -a tappe, a rate, a porzioncine- possa passarci giusto dentro questo mio blog.
Anche perché non si può ad ogni costo VOLER scrivere poesie, che vengono rigurgitate solo quando l'intruglio dei sentimenti e delle sensazioni le impasta e le fa schizzare fuori.
Non s'ha da avere fretta.
La fretta abbisogna di molto tempo per essere ben fatta.
Ho deciso di trascrivere un racconto inedito del 2007, intitolato:

IL CUGINO ADOTTIVO DI KARL MARX

1.

Senza sapersene dare una ragione dall'inizio di quell'anno faceva tutte le sue cose di corsa, e poiché era molto veloce ma piuttosto maldestro John Cally Filiput cadde tre volte prima che arrivasse la Pasqua. La seconda volta in modo così rovinoso da incrinarsi il terzo medio superiore della tibia sinistra. Di conseguenza alla successiva caduta fu ricoverato per precauzione in un ospedale militare, una quindicina di chilometri a Nord di Richmond, anche se non aveva mai indossato una uniforme; ma erano tempi di guerra e i giovani acciaccati venivano rimessi a posto e spediti nella più vicina caserma. Fu in quell'anonimo e asettico ospedale che incontrò "il tedesco", come tutti chiamavano uno spilungone di quasi due metri calvo e con un incisivo superiore assente. Per notarne l'assenza però bisognava aspettare che mangiasse, perché "il tedesco" non parlava mai, nemmeno per dire si o no, ché per quello gli bastava un secco movimento del capo.
Il nome lo portava appeso al collo sulla piastrina di riconoscimento: Kurt Marx. Sul foglio delle sue generalità, che lui stesso aveva compilato, alla voce titolo di studio aveva scritto in stampatello e a tutte maiuscole "CUGINO ADOTTIVO DI KARL MARX", che secondo lui doveva equivalere a un diploma scolastico. Era insomma il suo titolo nobiliare, o meglio, dati i tempi, il suo marchio di fabbrica.
John Cally Filiput cominciò a parlargli fitto fitto fin dal primo giorno. L'altro non poteva sapere che lui si comportava così con tutti da una vita, perché non riusciva a star zitto, ma sembrò gradire: non chiudeva infatti gli occhi come faceva di solito con tutte le altre persone, compresa la crocerossina Adele, che era la più carina e procace di tutte. Lo guardava invece con fissa intensità come se gli piacesse quel diluvio di parole. E così John Cally Filiput continuò a parlargli, infervorandosi in soliloqui grandiosi ogni giorno più lunghi, man mano che cresceva in lui il convincimento che "il tedesco" non volesse parlare solo per via di quella vigorosa assenza nelle bocca.
-Forse non capisce un accidente di quello che gli stai dicendo, provò a suggerire la graziosissima Adele rimboccando le coperte allo spilungone sdentato. Può darsi che sia sordo, può darsi che sia muto, potrebbe addirittura essere tutte e due le cose.
-Ma non lo hanno visitato quando è arrivato qui dentro? Se ne sarebbero dovuti accorgere se era sordo oppure muto.
-Aveva un attacco di itterizia: era giallo come un limone e non poteva parlare per via della febbre altissima.
-Adesso non ha più febbre, potrebbe tentare di parlare se potesse.
-Quando ha avuto tra le mani il modulo informativo che tutti devono riempire non ha chiesto aiuto a nessuno, come hai fatto tu per esempio che ti sei fatto riempire il questionario dalla suora perché non capivi le domande. Lui invece zitto zitto ha risposto a tutti i quesiti per benino, ha ripiegato il modulo, lo ha appoggiato sulla sua sedia e si è messo a dormire. Io ti dico che questo qui proprio non vuole parlare, concluse la crocerossina. Data la sua nazionalità gli conviene.
Era infatti l'inizio del 1917, stava per finire febbraio e in Europa tedeschi e francesi, inglesi e austro ungheresi si stavano massacrando, mentre in America tutti i maschi giovani facevano la conta per vedere a chi sarebbe toccato andarsi a fare scannare laggiù. Era chiaro che in quei tempi a nessuno sarebbe andato a genio di avere per vicino di letto in ospedale un tedesco, per di più malato di itterizia; per cui sembrava logico che chiunque fosse tedesco tenesse chiusa la bocca, dato che per lo più è dall'accento che si riconosce la terra di origine della maggior parte della gente.
Così "il tedesco" tacque e ascoltò le lunghe chiacchierate di John Cally Filiput finché guarì e dovette lasciare l'ospedale e il suo compagno di ricovero. Non scucì bocca nemmeno in quell'occasione: fece un abbozzo di inchino con la testa, gli strinse la mano, raccolse il suo sacco di tela e se ne andò.
Passò un po' di tempo prima che John Cally Filiput si riprendesse dalla sorpresa provata nel trovarselo improvvisamente davanti non più vestito col camicione bianco dei ricoverati ma in uniforme. Niente di strano trovare un soldato in un ospedale militare, ma era strano che "il tedesco" indossasse una divisa dell'esercito americano.
Un mese dopo toccò anche a John Cally Filiput di essere dimesso. Gli fecero togliere il camicione anche a lui, gli lasciarono di nuovo indossare i suoi abiti borghesi, ma non gli permisero di ritornare al suo paese. Gli Stati Uniti erano ormai prossimi a dichiarare guerra alla Germania, i cui sommergibili mandavano da un po' di tempo a fondo tutte le navi mercantili americane dirette in Inghilterra, e proprio per questo motivo John Cally Filiput fu accompagnato in una caserma alla periferia di Richmond, sede del 122° Reggimento di fanteria.
IL sottufficiale furiere lo assegnò alla prima Compagnia del secondo Battaglione, e un caporale del suo reparto lo condusse alla sua momentanea casa, una camerata, e al suo alloggio, un posto letto e un armadietto metallico. Accanto alla sua branda, sdraiato sulla propria coi piedi fuori perché era troppo lungo, John Cally Filiput ritrovò "il tedesco" Kurt Marx, il cugino adottivo di Karl Marx.

4 commenti:

  1. Che dire? Dico che se fossi un consulente editoriale, dopo questo primo assaggio sarei fortemente tentato di suggerire: pubblichiamolo!

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  2. Avrei proprio tanto bisogno di un consulente editoriale di larghe vedute.
    Comunque ci ho provato: ho messo insieme in una bustona tutti i racconti che ho scritto finora e li ho inviati a una casa editrice. Non mi ricordo più nemmeno quale, ma è una medio piccola, puoi capirlo da solo.
    Che dire? Ci si prova, ci si prova, poi provveda Dio, se c'è batta un colpo.

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  3. Peccato che Kaos non faccia narrativa pura, altrimenti una buona parola avrei provato a metterla. Ma in quel ramo sono ancora in alto mare pure io...

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  4. Grazie comunque, Nik.
    Tieni duro, vedrai che ce la faremo!

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