lunedì 29 marzo 2010

PAGINE RACCATTATE DA TERRA DI UN ROMANZO NUOVO CON FINALE MONCO.La

-Lei mi ha svegliato, involontariamente si intende, ma adesso mi deve accompagnare, mi bisbiglia la donna e mi prende sottobraccio.
-Non ho niente in contrario, se però mi dicesse dove vuole che la accompagni, provo un tantino impacciato.
La donna è molto bella e ha un profumo penetrante, non buono ma penetrante.
-Vado alla stazione, ma non so dove sia.
-Proviamo a trovarla insieme, le dico tanto per prendere tempo.
-Lei intanto stia a sentire quello che le vuole dire il bambino.
È spuntato dal nulla, un bambino piccolissimo, strano, come un adulto nano e ha una voce insolita per un bambino, profonda.
-Lo dice anche il mio medico, lo psichiatra, mi fa il bambino, che ho la voce di uno grande
(ma io non ho detto niente)
e poi che penso da grande.
-Lo psichiatra? gli chiedo.
-Sì, risponde la donna; lui va dal suo psichiatra. È in cura da tempo, penso da quando che è nato, mi sussurra per non farsi sentire dal bambino.
-Tu portaci al treno, poi si vedrà, riprende a parlare il bambino. In effetti non so proprio cosa fare con quella lì.
-È tua madre? gli chiedo.
-Mai vista prima, ma lei sa parecchie cose di me, per questo mi irrita tanto, ma la cosa non ti riguarda, capito?
-Qui passa un treno, gli dico; guarda le rotaie per terra, se le seguiamo arriveremo in una stazione.
-È là in fondo, e mi indica una tettoia bassa e verde in mezzo a due palazzi.
-Mi sembra di esserci stato in questo posto, mormoro tra me e me.
-Tu non ci sei mai stato, mi risponde il bambino; ci sono passato tante volte io e sono io che penso di esserci già stato, non tu.
-E tu mi trasmetti il tuo pensiero, gli dico strizzandogli un occhio.
-No, sei tu che pensi per me, lo dice anche il mio medico, lo psichiatra; ma sono io che prendo le decisioni. Non puoi capirci, è difficile anche per lui.
-Per lo psichiatra?
-Me lo dice lui e io gli credo.
-Allora che faccio con questa donna? La porto sotto quella pensilina, cioè in quella stazione?
-Portacela, o sposala o accoppala, ma decidi in fretta, mi sto irritando.
-Avevi detto che le decisioni le prendi tu, mi pare.
-Distruggila.
-E come?
-Esattamente al contrario di come l'hai costruita.
-Io non ho costruito un bel niente: me la sono trovata accanto come per miracolo.
-E allora chiudi gli occhi, voltati indietro e riaprili.
-È un consiglio o è un ordine? Che cosa devo fare?
-Chiudi gli occhi, voltati indietro e riapri i tuoi occhi. Dai, ché mi sto irritando.
Eseguo un po' timoroso, non so dove andrò a finire. Quando riapro gli occhi è tutto esattamente come prima: la donna sta ancora attaccata al mio braccio e mi inonda col suo profumo penetrante; i binari sono sotto i nostri piedi e la pensilina verde è bene in visione davanti a noi, a qualche centinaio di metri.
-Non è successo niente, dico al bambino un po' irritato a mia volta.
-Questo sembra a te, ma se adesso la guardi meglio la potrai riconoscere.
La guardo e lei mi sembra addormentata: ha gli occhi chiusi, la testa leggermente spostata all'indietro in una posa lasciva, inspira aria con forza dilatando le narici. Dio mio, è vero! Ho già visto questo volto in una vecchia foto nascosta in un cassetto della scrivania di mio padre, che ho svuotato dopo la sua morte: è Fedora, la sua amante, la rivale di mia madre.
-Tutto qui è così diafano che quasi non ti vedo, mi dice lei.
-Potrei dire lo stesso, ma in ogni modo non ti perderei, con l'onda di profumo che emani.
-Visto come vi intendete voi due, mi fa il bambino.
-Io la subisco, ed è tutta colpa tua.
-Le ronzavi intorno da anni, non dare adesso la colpa a me.
-Quello che ronzava era mio padre, hai sbagliato bersaglio.
-Fa niente, adesso siete riuniti.
-Tu fai finta di non capire. A me questa femmina non interessa, non mi piace, e trovo il suo profumo insopportabile.
-Spiacente, ma da questo momento farete coppia fissa. Potrei anche andarmene, tanto quando ritorno vi ritroverò insieme.
-Non provare ad allontanarti o ti spacco quel brutto muso.
-Ti conviene sfogarti con lei e portarci alla stazione. Sei stato assunto per questo incarico, non per dare botte.
Non ho niente altro da dirgli, per cui afferro la donna sottobraccio e la trascino sul binario verso quella stramaledetta pensilina verde, che più camminiamo più sembra allontanarsi. Poco più avanti c'è un piazzale con alcune macchine parcheggiate. Ci deve essere un locale da qualche parte, perché sento odore di cucina, un odore molto carico di carni suine e di sughi rovinastomaco. C'è un locale infatti dietro un moro ad angolo, dal nome direi un ristorante croato: "Dubrovnik". Non mi va di entrare, ne uscirei appestando l'aria intorno a me di cipolla fritta e con il fegato ingrossato. La donna che mi sta al fianco volta la faccia dall'altra parte come disgustata da quell'odore intenso e il bambino sembra non avere fame, né sete.
-Guarda che meravigliosa decappottabile, mi dice il bambino correndo verso un coupé Mercedes 350 bianco, vecchio di una ventina d'anni.
-Vecchio? È un Old Mobil, un pezzo da museo; ce ne saranno appena un centinaio in tutto il mondo, e tu lo chiami vecchio.
Sembra adirato il piccolo e a quanto pare se ne intende molto più di me.
-Otto cilindri contrapposti "Boxer"; quattro carburatori doppi a trombetta il massimo per un motore aspirato, 328 cavalli. Lo stesso motore che montavano le Silber Pfeile quando vincevano tutti i Gran Premi in Formula Uno negli anni sessanta.
Prende la rincorsa e salta dentro il coupé, afferra lo sterzo e mima una serie di curve, dondolandosi sul sedile come un vecchio guidatore a 200 all'ora.
-Fammi un po' di posto, gli dico spingendolo di lato.
Adesso mimo anch'io una guida veloce su una strada di montagna. Intravedo una testa di donna dietro una finestra del ristorante e mi sembra che si agiti un po'. Deve essere la padrona dell'Old Mobil, e non mi sembra entusiasmarsi per le nostre corse.
-Sarà incazzata nera, dico al bambino che se la spassa da matti.
-Vedrai che fra un po' esce per romperci qualcosa sulla testa, mi risponde lui.
Ma non succede niente di quello che abbiamo previsto. La finestra del ristorante si apre e la signora, una bella donna sui cinquanta, si affaccia sorridente.
-Ti diverti ancora come quando eri un ragazzino, Federico? mi fa e mi manda un bacio soffiando sul palmo di una mano aperta.
-Sei passato di qui apposta perché sapevi che c'era lei, mi rimprovera Fedora, cercando di tirarmi fuori dalla macchina per un braccio.
Mi accorgo che è furiosa; è livida in faccia e le trema la voce.
-Guarda che io quella lì non l'avevo mai vista prima, le rispondo.
-Non avevi mai visto tua madre prima d'ora! Se vuoi mentire fallo con intelligenza, per favore.
-Così tua madre marciava in Mercedes d'annata, la interrompe il bambino.
-Giuro e spergiuro che quella donna l'ho vista affacciata alla finestra per la prima volta in vita mia.
-E noi ti crediamo e ti benediciamo, conclude il bambino.
-E tuo fratello dove lo hai lasciato? mi chiede Fedora.
-Dorme, non lo vedi? le rispondo indicandole il mio gemello che dorme su un fianco dentro la canadese.
-Perché tu non dormi? chiede il bambino.
-Io sto sognando, non te ne sei accorto? gli rispondo uscendo dall'Olde Mobil.



Nessun commento:

Posta un commento