giovedì 2 dicembre 2010

CREDEVO DI AVER SENTITO

Credevo di aver sentito qualcuno
suonare alla mia porta.
Ho disceso a precipizio
le scale,
ma ho trovato solo l'aria
buia della notte.
Da warst Du nicht.

Ho cercato allora di afferrare
il profumo del tuo alito,
ma ho inspirato solamente
odore di neve calpestata;
nemmeno un suono
nemmeno un'eco.
Schon war alles verschwunden.

Mi ero illuso di avere abbracciato
il mondo, stringendo a me
il pensiero di te,
ma avevo stretto
una bracciata d'aria
tutto il tempo,
nichts anders.

Si suole dire
che un uomo viene al mondo
con i pugni chiusi,
ma muore con le palme aperte:
genau so wie meine Hände jetzt.


Scritta a Maximiliansau poco prima di mezzanotte del primo giorno di dicembre 2010.

7 commenti:

  1. Lo sperare, l'illudersi, l'arrendersi. Ma gli ultimi a firmare la resa saranno sempre gli Artisti. Mi dispaice per gli altri, ma siamo proprio una bella razza!
    Grazie anche di questa perla, amico.

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  2. Da neonati possiamo solo fare gesti istintivi, come quello –bellissimo- del pugno, nel quale ci mettiamo –sempre istintivamente- tutta la determinazione a vivere, a buttarci nella mischia di un gioco che non abbiamo scelto. Per un pugno di .. istinto di sopravvivenza, si potrebbe dire.
    Poi , crescendo, “per un pugno di istinto di sopravvivenza “non basta più, e visto che spesso il gioco è noioso, a volte persino infido, se non addirittura brutale, in quel pugno ci mettiamo le illusioni, i sogni, le speranze, insomma tutto ciò che può aiutarci a sopravvivere alle miserie quotidiane. Per un pugno di qualcosa in più, che non è in più, ma diventa essenziale.
    Forse i palmi aperti dell’uomo che muore non sono un segno di resa, ma un voler lasciare quello che è rimasto in quel pugno -sempre che qualcosa sia rimasto- ai posteri, come un dono, come un’eredità spirituale.

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  3. *Zio Scriba.
    Sono convinto di appartenere alla razza eletta, quella che soffre di più, perché più sensibile. Non c'entra il cattolicesimo, ma la sofferenza rende la vita più profonda e vivibile. Guarda certe facce di cretini che arrivano in TV, o che ti stanno vicini al ristorante o in tram: facce da beoti. Ascolta i discorsi dei proprietari di quelle facce e vedrai quanto sono vuoti. Almeno a sentir loro sono tutti felici e contenti di aver realizzato qualcosa; non soffrono, non ne sono capaci, non hanno avuto il dono.
    Restiamo come siamo venuti al mondo, così come la sorte ha stabilito: siamo gli eletti, Nik.
    Non moriremo mai, e non saremo mai soli.

    *Silvia.
    Le tue parole mi hanno ricordato una frase che mi disse mia madre, immediatamente dopo aver riacquistato la capacità di parlare. Mi aveva pianto dieci minuti sul petto -dove arrivava lei- abbracciandomi con tutto il dolore di cui era capace, appena ero entrato nella camera ardente dove stava la salma di mio padre.
    "Quando è morto ha spalancato le mani, mi disse. Ci ho guardato dentro, ma non ho visto niente, non ci ho trovato i lacci che credevo tenessero nascosti, quei lacci che ci avevano tenuti insieme questi quaranta anni".
    Ho pensato tante volte alle sue parole: adesso le trovo straordinarie.
    Quando andremo apriremo le mani per
    "lasciare quello che è rimasto in quel pugno -sempre che qualcosa sia rimasto- ai posteri, come un dono, come un'eredità spirituale".
    Che belle parole sanno trovare le donne, quando le tocchi nei sentimenti profondi.

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  4. Sì, nel senso che dici tu la sofferenza è davvero salvifica e addirittura desiderabile (mentre non lo sono certi livelli finali di dolore fisico eliminabili con gli oppiacei o con l'Eutanasia, ma so che su questo siamo d'accordo): meglio ipersensibili feriti da (quasi) tutto che beoti vuoti, banali, superficiali e contenti.
    Anche se è bellissimo divertirsi, esser sereni e felici e saper anche sorridere e godere del poco, evviva le lacrime, ora e per sempre!

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  5. Mi piace quando scrivi "il profumo del tuo alito" e se non sbaglio lo hai usato almeno in un'altra tua poesia. Pian piano le sto leggendo tutte. Non è una critica ma solo una piacevole constatazione. Sbaglio?

    Ciao Nonnetto. :)

    LeNny

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  6. Cucù, LeNny!
    Avevo avuto tante altre cose da fare, tu ne conosci qualcuna, per questo ti avevo trascurato. Sei in buona compagnia, perché normalmente io trascuro per prima persona me stesso, tanto non me ne vado, sto sempre qui fra i miei piedi.
    Sì: il profumo dell'alito è una frase che mi capita di usare, perché di solito l'alito puzza, di tante cose, magari di tabacco, di vino, di aglio, di denti guasti, di stomaco rovinato, di cacca di gatto e quindi ce lo si augura di incontrare persone con alito profumato, specie se trattasi di fanciullette vezzose.
    È una delle poche licenze poetiche che mi permetto di usare, per il resto le odio tutte, mi fanno sentire obsoleto.
    Ciao LeNny, conservati e non ti preoccupare: i tempi bui finiscono e torna sempre il sole a risplendere sulle sciagure umane.

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