9
Appena sceso dal treno alla stazione centrale di Milano cercò una cabina telefonica e fece il numero che stava scritto sul foglietto.
-Pronto, rispose una chiara voce di donna.
-Mi chiamo Giovanni Filippi, disse John Cally.
-Avete molte valige?
-Non ho bagaglio.
-Allora prendete il tram numero 12, che passa nel piazzale di fronte alla stazione. Dite al controllore di avvisarvi quando arriverete a Piazza Napoli. Scendete nella piazza, attraversatela e prendete la strada di fronte a quella da dove siete venuto, che è Via del Giambellino. Fermatevi al secondo portone della prima casa a destra, al numero 3. Suonate il campanello da Morelli. Non fate domande inutili ed evitate di chiacchierare con la gente perché sono brutti tempi anche qui, non soltanto da dove venite voi. Se qualcuno vi dovesse chiedere qualcosa ricordate di parlare dando a tutti del voi, altrimenti capiscono che siete uno straniero.
Riattaccò, ma aveva detto abbastanza da mettergli una bella paura addosso.
Non furono tempi facili quelli di Milano. Dovette iscriversi subito al Partito Nazionale Fascista altrimenti non avrebbe mai trovato un lavoro. Per due volte fu interrogato alla Casa del Fascio sul suo misterioso passato. Rispose educatamente e senza dare segni di nervosismo raccontando sempre la favoletta che la signora Morelli gli aveva fatto imparare a memoria. Quando i suoi genitori erano morti un fratello di suo padre lo aveva portato con sé a New York e là era rimasto per tutto quel tempo. Fecero venire da Roma un camerata che aveva soggiornato per anni in Inghilterra e parlava perfettamente l'inglese. Fortuna che non era un americano, altrimenti avrebbe immediatamente riconosciuto il suo accento del Sud, ben diverso dall'inconfondibile gergo dei veri newyorkesi. Il camerata romano poté confermare che lui parlava perfettamente americano, e questo era ciò che gli altri volevano sentire.
Gli diedero la tessera del partito e lo lasciarono in pace. Adesso era finalmente a posto: era un bianco ariano e cattolico e possedeva la tessera del Partito Fascista; non gli poteva succedere più niente.
Gli trovarono un lavoro in una tipografia, e poco importava che non avesse mai fatto il tipografo, doveva imparare perché altro per lui non c'era. E lui imparò il mestiere così in fretta che dopo un anno era in grado di lavorare da solo, e quando arrivò la prima macchina linotype ci misero lui a lavorarci perché era una macchina inglese e tutte le istruzioni erano scritte in quella lingua. Divenne così il primo linotipista di Milano e fu chiamato a tenere corsi serali per insegnare agli apprendisti. Per guadagnare qualche soldo extra andava a casa di un vecchio collega, che restaurava libri antichi e li rilegava con una tecnica diversa da quella che veniva usata in officina per rilegare libri nuovi e dispense universitarie. Imparò talmente bene che decise di aprire un negozietto in Via Solari, a due isolati di distanza da Piazza Napoli.
Ebbe un piccolo colpo di fortuna, perché proprio vicino al suo negozio abitava un professore di Letteratura italiana dell'Università di Pavia. Passava lì davanti tutti i giorni e una volta si soffermò a guardarlo lavorare. Gli chiese se poteva fare un piccolo restauro a un antico testo del seicento, e quando riebbe il testo nelle mani si entusiasmò. Pochi giorni dopo John Cally aveva il negozio pieno di testi da risistemare, che il professore gli aveva fatto portare dalla biblioteca dell'Università. Si fece un buon nome e iniziò a dedicare molto più tempo al suo negozio, lasciando alla tipografia mezza giornata di lavoro.
Adesso che guadagnava bene poteva permettersi l'acquisto di una automobile. Comperò una 1.100 Balilla nera a due porte, coi sedili di pelle e il cambio al volante completamente sincronizzato. Cambiò casa e andò ad abitare in una mansarda in Viale Washington, neanche troppo distante dal suo negozio. Ormai aveva ridotto al minimo il tempo che passava in tipografia, due ore alla linotype e un'ora di insegnamento agli apprendisti. Niente extra: lasciava la sua Balilla nel cortile dell'officina e passato il tempo schizzava via per tornare al suo negozio.
Non si cercava una fidanzata anche se parecchie si erano fatte avanti, perché oramai era un buon partito oltreché un bell'uomo quasi trentenne, l'età giusta per mettere su famiglia. Aveva però conosciuto all'Università di Pavia una assistente alla cattedra di letteratura latina che viveva sola, da "vedova bianca", come dicevano. Era sposata con un intellettuale socialista di dichiarata fede antifascista. Era stato incarcerato per questo, e veniva continuamente spostato da un carcere all'altro per rendergli dura la vita. La moglie manteneva con lui scarsi contatti esclusivamente epistolari, perché le era stato proibito di incontrarlo, e anche le lettere ridotte all'osso per via della censura rigorosissima. Infatti era anche lei in odore di sovversione e la sua casa veniva evitata un po' da tutti. La donna viveva segregata insomma.
John Cally Filiput, alias Giovanni Filippi, non incontrò però nessuna difficoltà ad avvicinarla. Non gli fu imposto alcun divieto perché lui era un oriundo, un buon diavolo che non mancava mai alle riunioni del Sabato Fascista nella Casa del Fascio del suo rione; perché aveva rilegato tutti i libri della biblioteca della GUF di Milano a proprie spese, omaggio ai futuri dottori, ingegneri e avvocati del Partito, e soprattutto perché era diventato amico del professore di letteratura italiana dell'Università di Pavia, che era un gerarca. Lui lo invitò a non dare pubblicità alla cosa, ma disse che un vero fascista si vedeva anche a letto, e pertanto gli augurò tante belle scopate fasciste.
Le cose si erano messe bene sotto ogni rapporto per John Cally Filiput, alias Giovanni Filippi, quando l'Italia inopinatamente entrò in guerra. La sera del 10 giugno 1940, giorno in cui il Duce dichiarò l'entrata dell'Italia fascista a fianco della Germania nazista nel conflitto contro le democrazie plutocratiche anglosassone e francese, John Cally la passò a casa della bella assistente alla cattedra di letteratura latina .
Eleonora Bovi piangeva in silenzio, con lacrime che non riusciva più ad arrestare. Lei, come tutti gli intellettuali, aveva sperato fino all'ultimo che Mussolini non facesse il gran passo, e adesso si disperava. Sentiva la tragedia incombere.
Chissà cosa diavolo mi capiterà adesso, pensò John Cally Filiput, alias Giovanni Filippi; ma si considerava sempre sotto la personale protezione di Kurt Marx e si consolava. Dopo tutto se così non fosse stato fino allora non si sarebbe trovato in quel momento giovane e fresco accanto a una bella donna di nemmeno ventinove anni, con un capitale di centonovantamila lire in banca e un avvenire assicurato.
Ahia. Intravedo la nuvoletta dei guai avvicinarsi, all'orizzonte.
RispondiEliminaArriva sempre, quando un qualsiasi Filiput compie l'errore di sentirsi troppo al sicuro.
Ho fatto una pausa e sto perdendo il filo del discorso... Enzo, mi vedo costretto a fare una stampata di tutte le puntate e rileggerle di botto. :P
RispondiEliminaCiao. :)
**Silvia- Presentimento quanto mai azzeccato. Ti migliori, mia cara.
RispondiElimina**LeNny- Rileggi lentamente, soprattutto dopo le pappate natal-capodannizie c'è il rischio di indigestioni.
Ciao, amici :)
Di nuovo avvincente e a tratti persino divertente. Very good, collega... :D
RispondiElimina**Nik- IL mio augurio è di riuscire ad avvincerti e a divertirti ancora un po', almeno fino alla fine del racconto.
RispondiEliminaNe sarei lusingato, amico mio.