Eravamo stati per buona parte delle vacanze estive dell'anno prima Anna Maria ed io a discutere e programmare i festeggiamenti per le nostre nozze d'argento, litigando su ogni dettaglio.
-Innanzi tutto si va in chiesa per la messa.
Il diktat di Anna Maria era il primo rospo da ingoiare. Prendere o lasciare. Che fare? Avevo preso, naturalmente.
-Festeggeremo nello stesso posto di un quarto di secolo fa, sosteneva Anna Maria.
Il ristorante dell'Albergo "Roma" a Palmanova era sicuramente un gran bel locale, ma ne avevano aperti nel frattempo almeno altri due altrettanto accoglienti. Si sa, però, che le donne sono romantiche e conservatrici di tutto il vecchiume. E gli uomini? Accettano, non per quieto vivere o perché siano stronzi, ma perché non gli si rompano troppo i coglioni.
Insomma mi ero sbracato su tutta la linea. In fondo era un giorno del ca. Il prossimo sarebbe arrivato dopo altri venticinque anni.
Tutto sembrava sistemato. Ma già ai primi di ottobre si era capito che l'anno che stava per arrivare, il 1988, non sarebbe stato come gli altri, a parte il nostro anniversario. Ce lo diceva la pancia di nostra figlia Stefania, che cresceva ogni giorno.
Che bello diventare nonni, guarda un po' proprio a maggio, così lei e la bimba non potranno partecipare alla festa in Italia.
Poi a novembre Manfred, l'autore del colpo basso, aveva deciso:
-Ci sposiamo a febbraio.
Magnifico! Così saltano anche i festeggiamenti dei compleanni dei due nonni.
-Facciamo tutta una festa, tagliò corto Anna Maria.
Col caciocavallo! Chi se li fila due cinquantenni a un matrimonio di due ragazzi di 22 anni, con un topo Gigio che già scalcia per uscire?
-Vuoi metterti in mostra per forza? Mi chiese Anna Maria stizzita.
Figurati, ma chi se ne frega. Diventiamo nonni, vuoi mettere? E poi che bella festa! E che bella gente! Ma che bella mangiata! Poco importa che mi sia costata un pacco di Deutsche Mark. La madonna...
-Zitto, miscredente! Pensa alla nostra nipotina.
Ci penso e come. Altra grana da scucire, quasi la metà della somma preventivata per le nostre nozze d'argento se ne va marciando e battendo il passo.
Il tempo comunque di iniziare a fare due conti, che dall'Italia la nostra primogenita ci aggredisce al telefono inviperita.
-Sarebbe a dire che io sono la più scema del pollaio!
Che le piglia adesso? Sembrava così tranquilla.
-Tranquilla? Fessa, direi: sono fidanzata da quattro anni e adesso si sposa mia sorella?
-Monica...le circostanze...l'occhio della gente...
-Col cacchio!
E sbatte giù il telefono.
Il nembo si è addensato: il cielo è diventato scuro e già scroscia forte il temporale.
Tempo due giorni e Monica è di nuovo al telefono.
-Ci sposiamo a giugno.
Fine della comunicazione.
Se mi incazzo faccio doppia fatica, come tutti sanno.
Quindi?
Quindi non mi incazzo. Prendo due settimane di ferie per giugno; mi preparo al nuovo salasso in Banca e buona notte.
Stefi si era sposata a febbraio, col pancione e sorridente. Sembrava in trance.
Cristina arrivò il 10 maggio, esattamente 22 anni dopo la sua mamma.
Io telefonai alla mia mamma, ospite da parecchi mesi in una bella Casa di riposo nella Città Giardino, in una ariosa e linda stanza con vista mare.
Aspettava me e la mia famigliola con ansia per passare insieme due settimane a casa sua a Civitavecchia. Aspettava dall'ultimo sguardo che ci eravamo scambiati alla fine di agosto dell'anno prima, quando avevo di nuovo messo la prua verso il nord.
-Quest'anno va tutto storto, mà.
-Non mi dire che non vieni.
Voce di donna nel panico.
-Ma no, stai tranquilla. Prendo il resto delle ferie per agosto e veniamo giù coi due maschi.
Il 22 giugno, tornando a casa dopo il matrimonio di Monica, mentre passavamo il confine con l'Austria a Tarvisio, dissi un paio di innocue battuta ad Anna Maria; tipo "questo andirivieni in pochi mesi non ci farà stare meglio quest'anno". Giuro che non stavo pensando ai soldi, ma che in poco meno di quaranta giorni saremmo di nuovo passati per quella strada, nella direzione opposta.
Pensavo, credevo, mi illudevo di farlo in meno di quaranta giorni.
Alla fine di quel mese, però, inaspettatamente il cuore di mia suocera cedette di colpo. Fu trasportata in un nosocomio specializzato di Gorizia, ma era agli sgoccioli.
La notizia della morte arrivò a me, perché Anna Maria non aveva la forza di prendere il telefono in mano.
Presi il resto delle ferie e partimmo sgommando.
Il 7 luglio i funerali, poi tutti i cocci di una vita da raccogliere.
Un giovedì sera dissi a mia moglie:
-Domani parto. Resto un fine settimana a Civitavecchia con lei.
La presi in consegna alle 10 del sabato mattina, dopo aver sottoscritto una liberatoria, dove mi assumevo la totale responsabilità per tutto quel che le poteva capitare.
-Non la perderò d'occhio per un istante -dissi alla direttrice- e lunedì a mezzogiorno ve le riconsegno indenne.
50 ore insieme a mia madre.
Per me una première; per lei una gioia infinita.
-Sei solo?
-Anna Maria ha un sacco di problemi legali e amministrativi; i ragazzi vanno al mare; Monica è in luna di miele, e Stefi ha un pupazzetto che le porta via tutto il tempo.
A mia madre, però, interessavo solamente io: la sua domanda era per assicurarsi che non avessi altro cui pensare.
Per 50 ore feci "il donno": preparai la colazione, il pranzo, la cena; passai l'aspirapolvere per tutto l'appartamento; riparai una lampada che da anni non funzionava; ma soprattutto parlai.
Parlai, parlai, parlai.
E lei stava lì, in silenzio, ad ascoltarmi.
Tre le cose eccezionali che si stavano verificando:
-mia madre taceva;
-io stavo parlando con lei;
-io stavo insieme con mia madre per un intero fine settimana.
La prima situazione non si era mai verificata.
La seconda rarissima volte.
La terza quasi mai. L'ultima volta avevo 13 anni.
-Perché non dici nulla? Le chiesi.
-Perché per trenta anni non mi hai detto niente altro che i saluti quando arrivavi e quando ripartivi.
-Voglio imprimermi la tua voce nella mente, aggiunse. La riascolterò ogni momento, dopo che te ne sarai andato.
Fu in quell'istante, credo, che decisi di raccontarle la mia infanzia, vista dalla mia parte, perché lei tornasse giovane e io bambino. Mi ero illuso di stupirla -ecco, questa è la versione di Enzo- ma mi accorgevo dall'espressione del suo viso che conosceva già ogni cosa della vita interiore del figlio bambino, del figlio ragazzo; non le era sfuggito nulla. Non ero riuscito a nasconderle nemmeno quello che pensavo, perché adesso che credevo di rivelarglielo in prima assoluta, come fosse chissà quale segreto, la vedevo sorridere ogni volta ancor prima che concludessi la frase, tutte le frasi.
Ero stato per lei un libro stampato, mentre mi ritenevo un enigma indecifrabile.
Non so perché, ma mi sentii più leggero e più felice dopo averlo scoperto.
Allo scadere della cinquantesima ora la riconsegnai alla direttrice dell'ospizio.
-Torno a Natale, mà; porto pure Anna Maria.
Me ne andai più sereno: avevo finalmente conosciuto mia madre.
"Anna Maria sarà contenta di venir giù a Natale", pensai.
Ma ai primi di ottobre venivo giù da solo a tutto gas col mio 2500 turbo per cogliere almeno l'ultimo respiro di mia madre.
Una corsa folle contro il tempo, contro l'ictus che le aveva mandato in tilt il cervello.
Al "Pavesi" di Firenze feci il pieno di benzina, bevvi in fretta un caffè e telefonai a mia cognata.
-Sto a Firenze, in un'ora e mezza arrivo.
-Prenditela comoda, mi rispose; è spirata un'ora fa.
Il 31 dicembre si portò via per fortuna quel 1988 felice e infelice, dove tutto era successo, dove ero diventato nonno, due volte suocero, dove era morta la madre di Anna Maria, che mi amava come un figlio, e dove avevo perduto mia madre subito dopo averla conosciuta veramente.
Soltanto le nostre nozze d'argento non erano state festeggiate, e nessuno ne parlò più.