giovedì 6 gennaio 2011

IL CUGINO ADOTTIVO DI K.M. DECIMA PUNTATA

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Quanto poco sicuro invece fosse lo scoprì un paio di settimane dopo, quando durante il primo bombardamento aereo avvenuto di notte su Milano una bomba cadde sul palazzo di Via Solari distruggendo tre appartamenti e la sua officina di restaurazione e rilegatura libraria.
Dovette investire quasi trentamila lire per ricomprare le sue preziose macchine. Prese in affitto una vecchia stalla e un cortile a Binasco, sulla strada per Pavia, e lì fu in grado di ricominciare la sua attività, ma qualcosa si era rotto dentro di lui: la certezza di essere inattaccabile, incorruttibile, immortale. A lui non era successo niente, ma capiva che poteva essere colpito.
Poi la morte di Eleonora.
Si sentì immediatamente responsabile di quella morte. Erano andati in vacanza in una baita sulle colline intorno al lago di Como, soli in mezzo alla natura che entrambi adoravano. Tutto sembrava meraviglioso, il sole, l'aria che respiravano, l'atmosfera di pace che sentivano intorno. Il primo giorno fecero una lunghissima passeggiata e così pure il giorno seguente. Alla sera Eleonora mangiò moltissimo, perché era affamata. Di notte si sentì male: una evidente indigestione. Passò la notte seduta sul water scossa da continui conati di vomito. Una gran brutta colica, pensò John, meglio passare da un dottore domani. Ma l'indomani la maledetta Balilla non volle partire, e malgrado ogni sforzo John si vide costretto a rinunciare. Eleonora lo rassicurò: si sentiva meglio, gli disse, ancora ventiquattro ore e sarebbe stata in piena forma. Ma alla sera vomitò di nuovo, all'improvviso, e non poté nascondere nulla a John come la sera precedente. John si accorse di quel muco verdastro e non disse una parola per non allarmarla, ma non era una buona cosa. La mise a letto e si accorse che la donna aveva una gran febbre. Non poteva perdere un solo minuto. Passò tutta la notte intorno al motore della Balilla, smontando e pulendo il carburatore. Quando giunse l'alba riuscì a metterla in moto. Corse all'interno della baita, avvolse Eleonora in una coperta e la trasportò nella Balilla. La donna delirava; le mise una mano sulla fronte, che bruciava come il fuoco.
Un'ora dopo era all'ospedale di Como. Tentarono un'operazione disperata, ma l'appendice era perforata da troppe ore e la peritonite aveva invaso ormai tutto. Morì in meno di un'ora.
John Cally Filiput, o piuttosto Giovanni Filippi come adesso si chiamava, sentì che era tutta colpa sua: era stata sua l'idea di andarsi a nascondere in un bosco solitario lontano da ogni centro abitato; sua era stata la negligenza di non controllare lo stato della Balilla prima di partire; sua la trovata delle camminate lunghissime che avevano certamente provocato l'infiammazione intestinale di Eleonora.
Una settimana dopo i funerali un incendio doloso distrusse stalla, stabile e officina di Binasco. Stava rilegando una edizione speciale dei discorsi di Mussolini. Il Federale di Pavia gli disse che questa era sicuramente stata la molla che aveva fatto scattare la mano del disfattista incendiario. Ce ne stavano in giro, lui lo sapeva bene, ma non era il caso di fare propaganda e seminare la paura tra la popolazione. I giornali avrebbero parlato di corto circuito e i carabinieri insieme agli agenti dell'OVRA si sarebbero dati da fare per mettere le mani su quel figlio di puttana.
Gli ultimi eventi avevano però convinto John Cally Filiput che la ruota si era messa a girare controverso. Non rimise più in piedi la sua officina, anzi dichiarò chiusa la sua attività; intascò il rimborso della sua polizza assicurativa e ricominciò a lavorare a tempo pieno nella vecchia tipografia.

Quando iniziò la Campagna di Russia qualcuno del distretto militare, scartabellando tra le carte in cerca di imboscati, scoprì che Giovanni Filippi non aveva mai portato le stellette. Date le sue conoscenze altolocate e le attività benemerite svolte per il Partito pensarono che meritasse un certo riguardo, per cui decisero di chiudere un occhio, anzi tutti e due, e lo convocarono alla Casa del Fascio offrendogli di poter servire la patria dentro uno dei tanti uffici dispersi nel Comando del Corpo d'Armata, dove non lo avrebbe più cercato nessuno; gli offrirono in poche parole si imboscarsi e di salvare le chiappe. Ma John Cally rifiutò e chiese di arruolarsi volontario tra le Camice Nere. Aveva ufficialmente trentun anni, salute eccellente e curriculum fascista di primo ordine, per cui la sua richiesta fu entusiasticamente accettata. Gli fu dato il grado di Capomanipolo nel Battaglione della Camice Nere "Bruno Mussolini", in partenza per la steppa russa.
Nel durissimo inverno del 1942 era anche lui sul Don insieme alla maggior parte del Corpo di Spedizione italiano, a protezione del fianco sinistro della Divisione di fanteria Cremona.
Quando una mattina i bolscevichi attaccarono in massa coi mezzi corazzati spaccando la linea del fronte italiano in quattro monconi, il Battaglione di Camice Nere "Bruno Mussolini" fu decimato e maciullato da un centinaio di poderosi carri armati di fabbricazione americana.
Il Capomanipolo Giovanni Filippi riuscì a radunare e tenere uniti una ventina di sciagurati: durante la notte si infiltrarono tra quelle che non erano più le linee di un fronte organizzato, ma le propaggini del caos e della disperazione, e rientrarono in seno ai resti della Divisione Cremona. L'indomani ebbe inizio la ritirata di quel che rimaneva di un esercito verso la patria lontana e forse irraggiungibile.
Il Capomanipolo Giovanni Filippi spogliò i morti come facevano tutti per potersi coprire al meglio. Non sapeva quante miglia avrebbero dovuto percorrere, ma temeva che fossero troppe per molti di loro. Si sforzò di pensare che se Kurt Marx avesse voluto mantenere la parola che gli aveva data quella sarebbe stata l'occasione propizia per dimostrargli quanto potente fosse la sua protezione.
Iniziò a contare mentalmente fino a mille e poi di nuovo da capo fino a mille, per mantenersi sveglio, per non impazzire dalla paura, insomma per sopravvivere. Dopo alcuni giorni gli venne fatto di chiedersi quanto realmente fosse diventato vecchio a dispetto di come appariva di persona e di quello che stava scritto sul suo passaporto, perché Giovanni Filippi aveva trentadue anni, ma John Cally Filiput ne aveva più di cinquanta. Una bella sfacchinata per un cinquantenne attraversare quel deserto di ghiaccio vestito di stracci puzzolenti, con una razione di brodaglia neanche giornaliera e un tozzo di pane della pancia. Va in sconto dei miei peccati, pensò, fintantoché non arriverà Kurt, perché questa sarà certamente l'ultima volta e così sarà finita la mia avventura.
Vedeva continuamente gente crollare col muso nella neve e rimanere immobili già uccisi nell'anima prima che nel corpo. Le fila del gruppo cui apparteneva diventavano di ora in ora più sottili. Non si aveva nemmeno più la forza di aggredire i cadaveri e denudarli, il pensiero di ognuno era fisso sul prossimo cumulo di neve dove sarebbe sprofondato.
Fu durante una notte di marcia e di insonnia sempre più terribile che John Cally Filiput vide finalmente Kurt Marx.
Lo intravide in lontananza, era certo che fosse lui, non poteva che essere lui. Lo stava aspettando. "Eccolo là il mio mucchietto di neve, pensò John, è accanto ai piedi di Kurt. Che generoso che è Kurt, mi aspetta proprio lì, che fortunato che sono. Me lo aveva promesso quella mattina mentre scappavo in Svizzera, mi disse che ci saremmo veduti ancora e adesso mi aspetta accanto all'ultimo mio posto da vivo su questa terra. Sono proprio tanto fortunato ad avere un amico fedele come lui".
Ma Kurt si stava spostando, senza parlare, senza fargli segnali, si stava spostando e basta. Ecco che si era fermato un po' più in là e si era girato verso di lui. Era quello adesso il suo mucchietto di neve? Quello vicino ai suoi piedi? Allora andiamo avanti ancora un po', non sarà poi tanta fatica. Ma di nuovo lo vedeva spostarsi di un centinaio di passi e poi fermarsi e guardarlo. Nessun cenno, nessuna parola di incoraggiamento. "Vuole che io vada fin là? E io ci vado, non faccio altro che quello che lui vuole che io faccia, lui è il mio protettore, me lo ha detto e me lo ha confermato e io gli credo. Ma come è vestito Kurt? Quel cappottone dove gliel'ho già visto? Ha un vecchio elmetto americano sulla testa, in spalla un lungo fucile; anche quel fucile conosco, ma sicuro! Quella è la divisa del 122° fanteria; quello è l'elmo che anche io ho indossato, e quello è il nostro vecchio Garand, il glorioso fucile americano della Prima Guerra Mondiale. È venuto in divisa Kurt, nella sua bella divisa di allora, come l'ultima mattina a Ypres quando tutto diventò giallo. Adesso è tutto forte e chiaro: così è cominciata la storia e così deve finire. Bellissimo! Che bravo che sei Kurt, proprio una bella idea venirmi a prendere vestito come allora. Eccomi Kurt, ancora una ventina di passi e sono lì da te".
Ma Kurt si spostò ancora e ancora e ancora per tutta la notte. e per il giorno dopo e per ogni giorno che spuntò. Dal primo momento che lo aveva visto arrivare per tutto il resto della traversata del deserto di ghiaccio Kurt Marx fu sempre lì, davanti a lui un centinaio di passi, che lo invitava a continuare con la sua sola presenza, senza un gesto, senza una parola.
Finché di colpo sparì.
John Cally Filiput si sentì perduto. Si mise a correre gridando con quel poco fiato che gli era rimasto, e tutti all'improvviso gridavano e correvano insieme a lui. Perché correvano? Quegli altri non avevano certo potuto vedere Kurt Marx eppure correvano e gridavano insieme a lui. Cosa stava succedendo? Si stava scatenando la pazzia? John si arrestò, ma vide che nessuno si fermava insieme a lui, continuavano a correre e a gridare sempre più alto, quindi era un delirio collettivo. Ma dove correvano tutti insieme?
Si arrampicò fino alla cima del costone di neve e vide ciò che c'era dall'altra parte: un treno fermo con vagoni passeggeri e non carri bestiame. Una tradotta militare li stava aspettando per riportarli tutti a casa.


4 commenti:

  1. Caspita! Altro che nuvoletta all'orizzonte. La catastrofe.
    Certo che dover buttare sulla roulette la propria vita in ben due guerre mondiali è proprio scalogna.
    Cosa te ne fai di vent'anni di sconto se come conseguenza ti viene appioppata una sciagura simile?

    Che strana coincidenza: oggi è il 6 gennaio. Come i re magi hanno seguito la stella cometa, così il tuo filiput ha seguito il suo karl, salvandosi dalla spaventosa ritirata.

    (nelle prime righe c'è un eppure che stona)

    Aspetto l'epoi. a-ugh!

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  2. Bella l'idea dei re magi. Certo, Kurt con la sua sola presenza da a Filiput la forza di resistere.
    Giusta l'osservazione su quell' "eppure" inopportuno. Ho corretto, o meglio ho omesso, come potrai controllare.
    Grazie per il suggerimento.

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  3. Non so se sia più inquietante questo Kurt che continua a spostarsi o questo Filiput sfuggito ai nazisti che invece di imboscarsi si arruola nelle Camicie Nere... va bene mimetizzarsi, va bene assecondare un destino, ma... O che volesse solo punirsi per la morte della donna?

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  4. Nik- Le hai centrate tutte e due, secondo me: un inconscio assecondare il destino -come se una volontà non sua lo costringesse- e una autopunizione per aver causato la morte di Eleonora. Oltre a ciò una notevole dose di strafottenza: tanto io ho un santo protettore, non mi può succedere niente.
    E se invece fosse un inconscio -quanta incoscienza, mamma mia- desiderio che tutto finisse? Me lo sono chiesto a racconto ultimato senza trovare una risposta che mi garbasse.
    Ho lasciato tutto così: mai contrastare l'ispirazione, se non ne hai una migliore; mai contraddire una logica se un'altra non la trovi.

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